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Banche centrali è se la soluzione fosse il nominal income targeting?

Per le banche centrali concentrarsi solo sul target di inflazione può portare a scelte sub ottimali. Un paper di Damian Pudner descrive il funzionamento del nominal income targeting che fissa la politica monetaria sulla base del tasso di crescita nominale del PIL.

Il mandato della banca centrale è focalizzato sul mantenimento della sostenibilità dei prezzi. Una frase che sembra scritta sulla pietra e che rappresenta, con differenti sfumature, l’attuale modello dominante di gestione della politica monetaria.

Ma come garantire questa sostenibilità dei prezzi? Il principale metodo adottato dalle banche centrali è quello di fissare un target di inflazione “sostenibile” e di monitorare che i prezzi nel medio termine non si discostino troppo da questo livello. In alternativa, alcun istituti centrali si concentrano sulla massa di moneta circolante, fissando anche qui un tasso di crescita “sostenibile” da perseguire. Ma inflation targeting o monetary targeting, così si chiamano i due metodi appena ricordati, sono le uniche risposte alla domanda posta sopra?

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Diciamolo subito. L’impennata di inflazione vissuta nell’immediato post covid, e la difficoltà nel distinguere tra movimenti transitori e persistenti dei prezzi che ancora si rintraccia nelle scelte degli istituti centrali, ha fatto sorgere il dubbio che forse occorre trovare un’altra strategia. Il dibattito è particolarmente attivo in Gran Bretagna, dove l’economista Damian Pudner ha lanciato una proposta interessante. In Rethinking Monetary Policy, pubblicato dall’Institute for Economic Affairs, Pudner propone l’idea di sostituire l’inflation targeting con un concetto differente: il tasso di crescita nominale del PIL o nominal income targeting.

Concentrandosi sul caso britannico, l’autore parte sostenendo che il metodo adottato sin qui dalla BoE (l’inflation targeting) ha mostrato limiti evidenti nell’affrontare le recenti crisi finanziarie e gli shock dal lato dell’offerta. In particolare l’ancorare la politica monetaria ad un target di inflazione a medio termine non ha consentito di separare la crescita dei prezzi causata da un aumento domanda, da quella generata da una riduzione dell’offerta. Un’inefficienza che ha portato ad adottare politiche sub ottimali, con un conseguente ritardo della ripresa economica all’indomani della crisi finanziaria del 2008 e della pandemia del 2020.

Invece che concentrasi sulla sola crescita dei prezzi, osserva Pudner, sarebbe preferibile monitorare un’altra variabile, vale a dire la crescita nominale del valore di beni e servizi prodotti dall’economia (NGDP). Scomponendolo, l’NGDP non è altro che la somma di inflazione e crescita reale. Fissare un target di crescita dell’NGDP permetterebbe di gestire con maggiore trasparenza il livello di inflazione desiderato perchè alla fine diventa solo il risultato di un’equazione (è un modello rule-based, si dice). Inoltre permette di distinguere tra shock della domada e dell’offerta e di ridurre le fluttuazioni dell’output gap, vale a dire della differenza tra crescita potenziale e crescita effettva. Infine, questo metodo permetterebbe di ristabilire un adeguato grado di fiducia nei confronti della banca centrale.

Facciamo un semplice esempio (per quanto possibile) di come funziona il nominal income targeting. Supponiamo che la crescita reale dell’economia sia fissata al 3% e l’inflazione “target” al 2%. In questo caso la banca centrale può stabilire la crescita “sostenibile” dell’NGDP al 5% (3%+2%). Se a causa di uno shock negativo dell’offerta la crescita del PIL reale scivola all’1%, allora la politica monetaria potrà lasciar salire l’inflazione al 4% per mantenere il target NGDP (1% + 4%). Solo quando la crescita del PIL reale tornerà a salire si procederà a ridurre l’inflazione, consentendo per un limitato periodo di tempo che la crescita dell’NGDP superi il 5%.

Nell’esempio appena descritto, se avessimo adottato un approccio inflation targeting, avremmo visto la banca centrale alzare i tassi molto prima che l’inflazione arrivi al 4%, penalizzando la ripresa dallo shock dell’offerta e limitando la crescita rispetto al potenziale.

Le criticità di questo metodo non mancano, ed è lo stesso autore del paper a ricordarle. In primis esiste una concreta difficoltà nel monitorare “in tempo reale” la crescita del PIL. Secondariamente il modello rischia di portare ad una maggiore volatilità dei prezzi. Il terzo elemento, altrettanto importante, è che ad oggi si tratta di un modello solo teorico in quanto non esistono esperienze “sul campo”.

Foto di Ramon M

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