Secondo quanto riportato dall’agenzia Morningstar, attualmente sul mercato esistono solo 12 fondi di investimento dedicati all’economia circolare, contro gli oltre 1000 etichettati con la sigla ESG. Si tratta di un dato che meglio di tutti riassume la situazione e mette in evidenza come il tema del riuso e della lotta allo spreco di risorse non sia, al momento, tra i più gettonati sul fronte della finanza green.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa intendiamo per economia circolare? La potremmo definire come un modello di produzione e consumo che punta a ridurre al minimo lo spreco di risorse, promuovendo il riutilizzo, la riparazione, il riciclo e la rigenerazione dei materiali e dei prodotti. A differenza del tradizionale modello economico lineare, basato sull’estrazione, la produzione, l’uso e lo smaltimento, l’economia circolare cerca di chiudere il ciclo dei materiali, mantenendoli in uso il più a lungo possibile. In termini pratici questo significa creare prodotti facili da riparare e riciclare, favorirne la manutenzione e il riuso e trasformare i rifiuti in nuove risorse.
L’importanza dell’adozione di un modello di produzione che implementi le linee guida dell’economia circolare è evidente, dal momento che gran parte delle risorse base del ciclo produttivo sono risorse scarse, vale a dire in quantità limitata. Pensiamo solo all’acqua o alle foreste. Eppure, come ci ricordano i dati Morningstar citati in precedenza, il tema non è tra i più gettonati della finanza green, anche se qualcosa comincia a cambiare.
Tra i grandi gestori che stanno puntando sulla “circularity” per rintracciare le migliori opportunità di investimento green per i propri clienti c’è Goldman Sachs. Il suo “filtro” è stato raccontato giorni fa dall’agenzia Bloomberg e merita di essere citato perchè include un tema interessante. La strategia mira ad includere nel portafoglio le società che pongono attenzione al tema del riciclo e della riduzione degli scarti di prodotti e materiali. In quest’ottica, secondo Goldman, diventano prospetti interessanti società del calibro dell’australiana Glencore Plc e della brasiliana Vale, mentre perdono appeal i grandi player del settore tecnologico. Due società appartenenti a settori estremamente inquinanti che diventano prospetti da includere in un portafoglio green!
Il criterio adottato da Goldman Sachs ci mette di fronte ad una domanda scomoda ma importante: è più sostenibile una società di un settore inquinante che mette in atto politiche che mirano a ridurre lo spreco di risorse, o una società che sviluppa tecnologie green senza però curarsi delle risorse necessarie per farla funzionare? L’etichettatura green, questo il tema interessante, non può basarsi su criteri settoriali e deve sempre più essere collegata alle pratiche delle singole società.
Attualmente il portafoglio di GS annovera quasi 900 società sparse nel globo ed il ritorno dell’investimento dal 2021 ad oggi batte di 16 punti percentuali l’indice MSCI ACWI.
Foto di Shirley Hirst