Una bolla sui consumi statunitensi

Negli USA, mentre l’inflazione continua a correre, i consumi reggono come sospesi in una bolla. Questo grazie ad un mercato del lavoro estremamente caldo e ad un tesoretto di risparmi ancora ingente.

Nella selva di numeri e percentuali che arrivano dal fronte macro in queste settimane, quello che pare abbastanza certo è che i consumatori statunitensi continuano a spendere. Brian T. Moynihan, “capo” di Bank of America, ha ricordato come i livelli di consumo, eccezion fatta per i carburanti, stiano crescendo a ritmo più sostenuto dell’inflazione, una dinamica che BofA non ritiene possa cambiare nel breve termine. Ancor più chiara è stata qualche giorno fa Dawn Fitzpatrick, CEO della Soros Fund Management. Commentando il dato sul PIL statunitense nel primo trimestre, Fitzpatrick ha ricordato come ad incidere sul risultato sia stata la componente delle esportazioni nette, questo significa che le importazioni superano le esportazioni, ed in altri termini significa che la domanda interna è ancora molto forte. Da qui l’idea che i mercati stiano immaginando una recessione molto più vicina nel tempo di quanto i dati facciamo intendere.

La colonna portante della fase di crescita statunitense sono i consumi. Anche il discorso di Jamie Dimon parte da questo elemento. Per il CEO di JP Morgan i consumatori statunitensi hanno da parte un gruzzolo in grado di sostenere la loro attività di spesa per i prossimi 6/9 mesi. Qualcosa come 2 trilioni di dollari accumulati nei mesi più duri della pandemia tra consumi azzerati e aiuti statali forse un po’ troppo generosi. Leggendo gli ultimi dati sulle spese personali USA non sfugge come il tasso di risparmio sia scivolato al 4%, il minimo da 14 anni a questa parte. In altri termini sembra che questo enorme cuscino di liquidità che in larga parte è stato causa dell’impennata di inflazione statunitense, stia continuando ad alimentarla e permetta alle famiglie statunitensi – per il momento – di navigarla.

Ad attutire ulteriormente la percezione degli effetti del carovita c’è inoltre la situazione relativa al mercato del lavoro. Due dati fanno capire quale sia la visione di un lavoratore negli USA relativamente alle possibilità di trovare rapidamente un impiego: il quits rate, il tasso di licenziamento volontario, continua a rimanere su percentuali sostenute, il 2.9% nel mese di maggio, 6 milioni di lavoratori che hanno deciso di lasciare il proprio posto a qualcun altro; le offerte di lavoro continuano a rimanere ampiamente sopra gli 11 milioni al mese, quasi il doppio dei disoccupati statunitensi. Senza contare che nei mesi scorsi la disperata necessità da parte delle imprese di assumere lavoratori ha spinto verso l’alto i salari, riducendo l’effetto reale dell’inflazione e continuando a distorcere la propensione al consumo dei cittadini statunitensi.

Mentre Dimon e colleghi avvertono delle singolari congiunzioni economico/finanziarie che stiamo vivendo e delle possibili forti conseguenze che queste potrebbero avere sull’economia mondiale, negli USA la dinamica dei consumi rischia di assumere le poco piacevoli caratteristiche di una bolla.

Foto di Pexels

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