Transizione energetica, un problema di costi

La transizione energetica è un problema di volontà ma anche, e forse soprattutto, un problema di costi. A ricordarcelo sono i numeri di un report realizzato da McKinsey.

L’ipotesi di base, per alcuni già utopistica, e che nel 2050 si raggiunga l’obiettivo di zero emissioni. La domanda è secca: quanto ci costerebbe? Stando ai calcoli elaborati dalla società newyorkese l’impegno economico complessivo medio annuo si aggirerebbe sui 9.2 trilioni di dollari. Rispetto a quanto già si fa, significa una spesa annua aggiuntiva in asset fisici pari a 3.5 trilioni di dollari. McKinsey ci dà anche un termine di paragone: si tratta di una cifra che corrisponde ad un quarto delle entrate fiscali globali raccolte nel 2020, o a più della metà dei profitti fatti registrare dalle società private sparse intorno al globo.

Come detto si tratta di una stime media annua, in realtà il grosso dei costi per la transizione energetica verrebbe concentrato soprattutto entro questo decennio, per poi scendere. Se parliamo in termini di percentuale di PIL si va dal 6.8% stimato nel 2026 all’8.8% per il 2030. Una parabola ben esemplificata dal costo dell’elettricità, il cui aumento rispetto ai valori attuali è stimato in 25 punti percentuali entro il 2040 e del 20% entro il 2050.

L’abbandono progressivo delle energie fossili andrà a colpire una fetta dell’economia che attualmente rappresenta il 20% del PIL mondiale. Entro il 2050, e sempre sotto l’ipotesi net-zero, la produzione di carbone dovrebbe azzerarsi, quella di petrolio e di gas naturale ridursi rispettivamente del 50% e del 70%. Il costo di produzione di materiali quali l’acciaio ed il cemento salirebbe con percentuali attorno, rispettivamente, al 30% ed al 45%. Nello stesso periodo la domanda di elettricità dovrebbe più che raddoppiare, creando ampi spazi di sviluppo per il settore dell’energia rinnovabile e segnalando un rapporto costo/opportunità tendenzialmente in discesa. Anche sul fronte occupazionale le tendenze sono positive, con la creazione di 15 milioni di posti di lavoro in più entro il 2050, aumento accompagnato da una colossale migrazione del lavoro (185 milioni i posti di lavoro che andrebbero in soffitta entro metà secolo).

Numeri importanti e tempo stretti. Elementi che dovrebbero portare governi ed operatori economici a lavorare ancora più strenuamente. Ma le vicende geopolitiche ed ancor di più il clima inflazionistico che si è creato in questi mesi rischia di rallentare gli sforzi e ridurre le risorse.

Foto di ulleo

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