La guerra ed il tallone d’Achille dell’economia globale: la nuova crisi della supply chain

Quella che è stata definita da qualcuno come una guerra economica alla Russia, vale a dire l’ampia serie di sanzioni economiche e finanziarie comminate a Mosca, porta con sè non pochi potenziali effetti collaterali per l’economia globale, in particolare per quello che sembra a tutti gli effetti il suo tallone d’achille: la supply chain.

Dopo lo scontro sui dazi tra USA e Cina e due anni di pandemia, la catena globale di approvvigionamento si trova ad affrontare un nuovo capitolo della sua profonda crisi. La guerra in Ucraina mina la tenuta della supply chain globale agendo su due fronti: da un lato spingendo verso l’alto i prezzi delle materie prime, in particolare quelle energetiche e alimentari, ma non solo; dall’altro lato mettendo sotto stress il settore della logistica, con numeri che non fanno presagire niente di buono sul fronte dei costi e dei tempi di spedizione delle merci.

Guerra e supply chain: l'andamento dell'indice Goldman Sachs Commodities
Il grafico del Goldman Sachs Commodities Index – fonte tradingview.com

Partiamo dalle commodities. Il Goldman Sachs Commodities Index (GSCI) ha messo a segno nel giro di 10 giorni un rialzo del 13.45%. Dal 2012 ad oggi non c’è traccia nel grafico di una variazione così potente e così ampia come quella a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni. E considerando che l’indice elaborato da Goldman è quello nel quale la componente energia pesa relativamente meno, si capisce bene come il movimento delle commodities sia generalizzato. Se petrolio e gas sono le voci che fanno più rumore, rialzi consistenti si registrano tra i metalli, i prodotti chimici ed i beni agricoli. Il Bloomberg Commodity Spot Index, un indice che tiene traccia dell’andamento di 23 contratti futures sulle commodities, è salito del 4.1% solo nella giornata di martedì scorso, facendo sparire dall’orizzonte il minimo a 4 anni toccato nel marzo del 2020.

Certo c’è una forte componente speculativa dietro questi movimenti, basti pensare che la Russia conta per un 8% nell’esportazione complessiva di petrolio e che il gas, fino a questo momento, scorre su volumi standard verso l’Europa. Ma non si possono scordare altre situazioni, ben più concrete, che pongono l’offerta di alcune materie prime a serio rischio. Qualche esempio può essere utile (dati UN elaborati da Bloomberg sugli anni 2019-2020): il 50% del grano importato da Cina e Turchia viene da Russia ed Ucraina; il 30% dei fertilizzanti utilizzati in Brasile e Cina vengono dalla Russia; il 90% del fabbisogno finlandese di nickel è soddisfatto dalle miniere russe; il 63% dell’olio di girasole importato dalla Cina viene dalla Russia, percentuale che sale al 79% per l’India. Ma il discorso vale anche per le esportazioni verso la Russia: ad esempio l’Equador esporta il 20% della propria produzione annua di banane in Russia per un valore di 600 milioni di dollari.

L’altro grande anello debole della supply chain di fronte a questa guerra è la logistica. L’isolamento imposto della Russia e quello forzato dell’Ucraina stanno creando nuovi pericolosi colli di bottiglia nella distribuzione internazionale. Ed il primo segnale è il rialzo delle tariffe di spedizione. Bypassare la Russia, infatti, non è operazione di poco conto. Intervistato dal WSJ, Glenn Koepke dell’industria logistica statunitense FourKites Inc., ricorda come il trasporto su rotaia dalla Cina verso l’Europa passi per il territorio russo e che le cifre in ballo siano di assoluto rispetto: solo nei primi sei mesi del 2021 ben 300 mila container. La chiusura dello spazio aereo, inoltre, sta costringendo a viaggi più lunghi gli aerei cargo che percorrono la rotta Asia-Occidente. In termini pratici questo significa tempi più lunghi per le consegne e costi maggiori.

A questa già pesante situazione si aggiungono i danni che possono provocare gli attacchi informatici alla produzione e distribuzione di beni e servizi. Nei giorni scorsi si sono avute le prime avvisaglie: Toyota ha sospeso nella giornata di martedì le sue catene di produzione in Giappone per un attacco informatico subito da un fornitore. Problemi ai propri sistemi informatici sono stati riportati da Expeditors International, una delle principali piattaforme di logistica statunitense. Ritardi, difficoltà produttive, costi.

Come abbiamo già avuto modo di dire, più si allunga la durata della crisi e più i rischi per l’economia globale diventano potenzialmente in grado di scatenare una nuova ondata inflattiva ed una riduzione della produzione e dei consumi. Secondo i calcoli del National Institute for Economic and Social Research (NIESR) il conto per il 2022 potrebbe aggirarsi sul trilione di dollari di ricchezza prodotta in meno, con un fardello di inflazione di ulteriori 3 punti percentuali.

Foto di hesselvisser

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