Il precipitare degli eventi nella crisi tra Ucraina e Russia pone le banche centrali di fronte ad una nuova intricata situazione, nella quale agire sulle manopole dei tassi di interesse diventa operazione ancor più delicata.
La situazione alla quale i governatori delle principali banche centrali mondiali si trovano di fronte è riassumibile in questi termini. L’economia mondiale uscita dal cono d’ombra della pandemia si è portata appresso una fiammata dei prezzi, frutto di un mix di elementi (alta domanda, supply chain, nuove varianti). Questa ventata d’inflazione, inizialmente considerata come un fenomeno temporaneo, ha iniziato pian piano ad infiltrarsi tra le pieghe delle aspettative dei consumatori e, complice una particolare dinamica del mercato del lavoro, a riflettersi anche sui salari. L’effetto finale è risultato più evidente laddove una politica fiscale espansiva aveva accompagnato l’economia nelle fasi più difficili della pandemia, vale a dire negli USA. Da qui il cambio di rotta, deciso, della FED e le ipotesi – sempre più concrete fino ad una settimana fa – che nella riunione di marzo Powell e colleghi prendessero di petto la situazione con un rialzo dei tassi fino a 50 punti base. Dopo la banca centrale inglese, che ha già agito, la FED si appresta ad essere il secondo grande istituto centrale ad intraprendere un’offensiva contro l’inflazione, ma lo farà in un’atmosfera completamente cambiata.
Ora, infatti, le cose si complicano. La guerra tra Ucraina e Russia, se la situazione non verrà ricondotta in tempi brevi alla ragione, rischia di avere come conseguenza una seconda e ben più pesante ondata di inflazione. Abbiamo ricordato settimana scorsa la particolare posizione nello scacchiere commerciale internazionale di Mosca e Kiev, ed è abbastanza intuitivo capire gli effetti che l’applicazione di sanzioni economiche ed il conflitto possono avere sull’offerta di una vasta selezione di materie prime.
Se la situazione non viene riportata entro i livelli di guardia in tempi brevi – la tempistica non è un aspetto secondario della questione – i rischi per il sistema produttivo mondiale sono enormi. E di conseguenza c’è una ragionevole possibilità che l’economia globale possa rallentare bruscamente. Alta inflazione e crescita che si ferma, lo spettro della stagflazione è lì dietro l’angolo.
Ecco quindi che per le banche centrali la situazione si fa delicata, con la necessità di trovare un fine tuning in grado di bilanciare la necessità di fare qualcosa per calmare i prezzi attuali ed allo stesso tempo quella di non indebolire troppo la ripresa economica, per permetterle di resistere ad ulteriori shock. Dalle parti di Washington si inzia a discutere. Loretta Mester e Christopher Waller – membri del board FED – hanno ribadito l’importanza di intervenire sul fronte tassi, ma al tempo stesso hanno aperto ad una discussione sulle implicazioni per l’economia USA di una prolungata crisi nel cuore dell’Europa. Sul fronte BCE, con l’economia europea ancora più esposta ai venti di guerra, esponenti di peso come la tedesca Schnabel ed il francere Villeroy, hanno esplicitamente parlato di un rallentamento dei piani di rientro degli stimoli monetari.
Illustrazione di mohamed_hassan