Settembre, cambio di narrazione: parola chiave rallentamento

Dopo un secondo trimestre con i motori a pieni giri, l’economia mondiale appare in rallentamento, parola chiave in questo settembre di cambio della narrazione.

Dopo settimane roventi, con le temperature a sfiorare i 40 gradi centigradi di giorno e le notti da latitudini tropicali, sbuffi di aria più fresca hanno cambiato lo scenario, consegnandoci un’estate settembrina dai ritmi più lenti e dal caldo più moderato e sopportabile. La parabola dell’estate 2021 è qualcosa che si avvicina molto a ciò che sta succedendo sul fronte macroeconomico in questo ultimo tratto d’anno. Si, perchè dopo mesi di prospettive di ripresa sostenuta, qualcosa è cambiato, nei dati ma anche nella narrazione.

Basta scorrere una veloce rassegna stampa economica per scoprire quanto la parola rallentamento sia sempre più frequente negli aggiornamenti degli Outlook. Tanto per citare alcuni esempi: Goldman Sachs stima un PIL USA 2021 a +5.7% nell’ultima previsione, tre decimi in meno rispetto alla precedente, citando come causa un rallentamento dei consumi. Oxford Economics lo ha limato al ribasso di tre decimi, dal 6.2% al 5.9%, nel giro di tre mesi. IHS Markit vede la crescita statunitense un decimo sopra il 6%. Il Beige Book di agosto della Fed parla di un’economia USA “downshifted slightly to a moderate pace” a causa, principalmente, del diffondersi della variante Delta.

Il rallentamento è qualcosa che si percepisce consultando i vari dati macroeconomici nel periodo giugno-settembre. Dai sondaggi PMI a quelli sulla fiducia degli operatori economici, dalla produzione industriale all’occupazione. Cosa sta succedendo? Rispetto alle previsioni di qualche mese fa alcune variabili, economiche e non, si stanno comportando in maniera diversa da quanto ci si potesse aspettare. Sul fronte della pandemia, la prima grande variabile, l’evoluzione delle varianti e qualche incertezza di troppo sulla campagna vaccinale stanno scompaginando i piani di interi settori. Il ritorno al lavoro, il back to office tanto annunciato per l’autunno 2021, pare molto meno certo. Le compagnie aeree, dopo un inizio estate speranzoso, guardano con preoccupazione i mesi a venire. La sensazione che la battaglia sia ancora piuttosto lunga, di certo più duratura di quanto preventivato, rende più prudenti i consumatori rispetto a qualche mese fa, rimandando l’effetto boom che molti speravano di ricavare dal “tesoretto” accumulato dalla famiglie nel periodo di lockdown.

Poi c’è la crisi della supply chain, la seconda variabile “impazzita” di questo 2021. Il dato sulle esportazioni cinesi in agosto, uscito martedì, è emblematico: gli acquisti esteri spinti a livelli record nel tentativo di anticipare l’allestimento dei magazzini per far fronte allo shopping natalizio. In altre parole, ordini anticipati per evitare che i tempi lunghi delle consegne e la carenza di componenti, che evidentemente si pensa continueranno ancora a lungo, renda un incubo quello che per il commercio è a tutti gli effetti uno dei momenti più floridi dell’anno. La scarsità di microchip continua ad affliggere interi settori e le previsioni di una normalizzazione entro dicembre cominciano a scricchiolare. La pensano così, ad esempio, gli analisti tedeschi interpellati dall’istituto Zew, tanto da spingerli a rivedere, al ribasso, le aspettative sulla crescita economica della Germania nei prossimi mesi.

Da queste due grandi variabili, e dal loro comportamento al momento ancora poco prevedibile, dipendono altri fattori determinanti per il proseguo della ripresa econonomica: la questione inflazione, l’andamento dei consumi privati, le mosse della politica monetarie ma anche di quella fiscale e le reazioni dei mercati finanziari. Su questi argomenti torneremo ad inizio settimana prossima con due post dedicati.

Foto di Axel Rühle

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