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COVID-19. Dai primi effetti economici alla reazione

L’epidemia COVID-19 sta iniziando a mostrare i suoi primi effetti economici. Affinchè questi rimangano confinati nel breve periodo occorre una reazione forte e coordinata sia di politica monetaria che fiscale.

L’aggiornamento dell’Economic Outlook dell’OCSE, pubblicato ieri e che ha come titolo “Coronavirus: The world economy at risk“, stima che l’impatto dell’epidemia di COVID-19 può ridurre la crescita mondiale di mezzo punto percentuale (dal +2.9% al +2.4%), con ripercussioni in quasi tutti i paesi e specialmente in quelli interconnessi in maniera stretta con la Cina.

Gli effetti dell’epidemia cominciano ad emergere. I dati PMI, rilasciati tra il fine settimana e la giornata di ieri, mostrano come il rallentamento della produzione cinese, unita alle restrizioni alla circolazione di persone e merci, stia mandando al tappeto la complessa e globalizzata catena di distribuzione che regge l’economia mondiale.

Ma quello che è a tutti gli effetti uno shock dell’offerta, rischia di diventare anche uno shock di domanda. L’esplosione dei casi di contagio al di fuori della Cina rischia di minare la fiducia dei consumatori, con ricadute sulla domanda aggregata. Tutto ciò potrebbe creare una sorta di double dip, in particolare, per l’economia cinese. Questa, alle prese con una ridotta capacità produttiva ed un indebolimento dei consumi interni, in una seconda fase dovrebbe affrontare una minore domanda estera di beni. Un fenomeno che allungherebbe i tempi della ripresa e rischierebbe di trasformare una crisi di breve periodo, come ad oggi possiamo ancora definirla, in qualcosa di più complesso.

La stessa OCSE ha calcolato che, nello scenario più pessimistico, la crescita mondiale potrebbe crollare al +1.5%, con economie come il Giappone e l’Eurozona che cadrebbero in recessione.

Contenimento è la parola chiave. Da un lato i governi sono impegnati nel contenere l’epidemia, limitando il più possibile il numero di contagi; dall’altro lato occorre rispondere al covid-19 contenendo gli effetti economici e mettendo in campo una reazione robusta, sia di politica fiscale che monetaria.

Le borse mondiali, nella giornata di ieri, hanno reagito positivamente alle prime notizie sugli interventi che i vari paesi stanno pianificando. Se la Cina si sta muovendo già da qualche settimana, negli ultimi giorni abbiamo assistito alla presa di posizione di molte banche centrali (Giappone, USA, Gran Bretagna e da ultima anche la BCE). La FED dovrebbe intervenire già nella riunione di metà mese, con un taglio forse di 50 punti base. L’Australia ha tagliato proprio oggi di 25 punti base il proprio tasso di riferimento, portandolo a 0.5%, mentre in giornata è attesa una decisione da parte della banca centrale canadese che dovrebbe muoversi anch’essa in senso espansivo. Una risposta coordinata a livello globale, perchè il problema è globale.

La politica monetaria può mantenere la stabilità dei prezzi, evitando le spinte deflazionistiche che – suggerisce l’OCSE – dovrebbe essere la risultante delle conseguenze economiche del COVID-19 nello scenario base. Allo stesso tempo può riportare un po’ di serenità sui mercati finanziari.

Ma da sola la politica monetaria non può fare molto. Serve un forte impegno da parte della politica fiscale e anche in questo caso la reazione deve essere coordinata. La politica fiscale può intervenire in maniera mirata, portando sostegno agli attori economici maggiormente colpiti. Ma deve essere simil-monetaria nella velocità di trasmissione; in altri termini deve agire su tasse e trasferimenti. In questo senso le decisioni prese in Indonesia ed a Hong Kong possono considerarsi una sorta di “esempio” da seguire.

Sempre oggi, giornata che forse potrebbe essere cruciale, i ministri finanziari del G-7 si riuniranno virtualmente per discutere le mosse da adottare. El-Erian, in un editoriale pubblicato su Bloomberg, ricordava il summit del 2009 che, all’indomani della crisi finanziaria, riuscì a portare risultati concreti, pianificando azioni concordate. Coordinamento che non vuole necessariamente dire, sostiene El-Erian, che tutti gli stati mettano in atto le stesse identiche politiche, ma che ogni singolo governo dia il proprio contributo. Alcuni esempi li ha fatti ieri Shawn Donnan (senior writer di Bloomberg.com). Gli USA potrebbero, ad esempio, ridurre le tariffe ad oggi attive su 360 miliardi di dollari di prodotti provenienti dalla Cina. Ancora, essendo coinvolti oramai quasi 60 paesi, si potrebbe ragionare di una moratoria sulle tariffe per ridare slancio al commercio internazionale.

Il COVID-19 ed i suoi effetti economici possono essere confinati nel breve periodo a patto che la reazione sia forte, chiara e coordinata. L’OCSE ci ricorda che, se messe in atto le opportune azioni di sostegno, l’economia mondiale può rimbalzare nel 2021 con una crescita stimata al 3,25%.

Foto di Gerd Altmann

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