Cosa sta succedendo alla Germania?

Mentre l’ISTAT certifica che l’Italia è entrata in una fase di recessione tecnica può essere utile volgere lo sguardo verso nord. La Germania, locomotiva ingolfata dell’Europa, vive una fase di difficoltà che potrebbe non essere solo congiunturale.

Ragionare sul brutto dato macroeconomico italiano significa – in parte – riconoscere che il vento sul vecchio continente è cambiato. Tira una brutta aria, specie da nord ed in particolare dal quel paese che rappresenta il 12,5% delle nostre esportazioni e con il quale siamo legati a filo doppio. Stiamo parlando della Germania, i cui dati sono particolarmente preoccupanti.

Il PIL tedesco è cresciuto, stando alle ultime rilevazioni, dell’1,5% del 2018; in calo rispetto al 2,2% del 2017. Per rintracciare percentuali di crescita così basse bisogna scorrere le statistiche fino al 2013. Pur trattandosi del 9° anno consecutivo di crescita, l’economia tedesca ha perso brillantezza. Dopo un terzo trimestre 2018 chiuso col segno meno, il 4° sembra essersi chiuso in modestissimo rialzo, grazie al contributo della domanda interna; quanto basta per evitare la recessione tecnica ma non per allontanare gli spauracchi sul 2019. La produzione industriale continua ad essere estremamente debole. Delle 11 letture mensili disponibili per il 2018 solo 3 hanno il segno positivo. Novembre 2018 ha segnato una variazione mensile negativa dell’1,9%. Le attese sul dato di dicembre sono per un rialzo dello 0,7%.

Leading Indicator OCSE per Italia (blu), Germania (rosso) e paesi OCSE (viola)

Perchè la Germania è andata in crisi? E soprattutto, si tratta di qualcosa di congiunturale, passeggero, oppure è qualcosa che ha a che fare con la struttura produttiva teutonica?

Analizzando le singole componenti del PIL si nota come la domanda interna abbia fino ad ora tenuto. A peggiorare sensibilmente sono state le esportazioni . La Germania esporta, soprattutto, auto e componentistica per auto. I maggiori paesi importatori di beni tedeschi sono gli USA, la Francia, la Cina e l’Italia. Bastano questi pochi dati per capire come, le difficoltà congiunturali del colosso cinese, la fragilità delle economie europee (Francia ed Italia) e la politica protezionistica dell’amministrazione Trump, siano più che sufficienti a giustificare la riduzione dell’export tedesco.

Il settore dell’auto merita poi un discorso più approfondito. Oltre alla crisi globale del settore, i costruttori tedeschi pagano ancora lo scotto per le grane legate al dieselgate e le successive nuove regolamentazioni in materia di emissioni.

Business confidence – OCSE – per Germania (Rosso), Italia (Blu) e paesi OCSE

Vicende passeggere? Secondo Ashoka Mody, ex economista del Fondo Monetario Internazionale e visiting professor all’università di Princeton, le cose non stanno proprio così. Mody ricorda come elementi strutturali stiano indebolendo l’economia teutonica: il calo della domanda cinese, le difficoltà del settore auto e l’obsolescenza tecnologica.

L’economica cinese, caratterizzata ad inizio millennio da percentuali di crescita da record e spinta principalmente dalle esportazioni, ha visto un cambio di paradigma nel corso degli ultimi anni. Dal 2009, nel tentativo di sostenere i ritmi di crescita ai livelli iniziali ed incentivare la domanda interna, il governo cinese ha posto in atto una serie di interventi fiscali di stimolo alla domanda interna. I cinesi, spinti all’acquisto, hanno subito dimostrato una forte propensione all’acquisto di beni tedeschi, con le auto a fare da capofila. Dal 2004 al 2006, sostiene Mody, la gran parte dell’aumento delle esportazioni tedesche era dovuto proprio alla domanda cinese. A fine 2017 le autorità cinesi, a fronte dei rischi di bolla sul credito, delle spinte inflazionistiche e nell’evidente impossibilità di mantenere i tassi di crescita di inizio millennio, hanno abbandonato le politiche fiscali espansive. Gli effetti sul commercio globale – e sulle esportazioni tedesche – non sono tardati ad arrivare, amplificati poi dall’esplodere delle tensioni sui dazi.

Il settore dell’auto, che rappresenta il 14% del PIL tedesco ed oltre un quarto delle esportazioni, è stato quello che più di tutti ha risentito del mutato clima internazionale. Le nuove regolamentazioni sulle emissioni dannose e la progressiva comparsa, anche in molte città tedesche, di limitazioni all’utilizzo di veicoli a gasolio, hanno posto i costruttori tedeschi di fronte alle loro debolezze strutturali, tra queste un certo ritardo nello sviluppo e, soprattutto, nella commercializzazione di automobili elettriche o ibride.

Infine, punto purtroppo comune a tutto il vecchio continente, la Germania rischia di perdere la sfida delle nuove tecnologie, basate soprattutto sull’elettronica e l’informatica. Il rischio di obsolescenza tecnologica, osserva Mody, lo si può misurare anche nella capacità, da parte delle università nazionali, di produrre risultati in campo scientifico e matematico (STEM). Le ultime classifiche a tal proposito segnalano come i primi posti siano oramai stabilmente occupati da atenei cinesi, coreani, giapponesi e statunitensi mentre non v’è traccia di università tedesche od europee.


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