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Fed, verso dicembre con molta prudenza

Le tante dichiarazione dei governatori Fed di questi giorni indicano un atteggiamento sempre più prudente in vista della riunione di dicembre. L’inflazione rimane il tema centrale, mentre il mercato del lavoro non sembra al momento preoccupare.

La fine dello shutdown federale negli Stati Uniti ha avuto un effetto molto limitato sui mercati finanziari. Il tempo di un frugale brindisi e già, tra i pensieri degli investitori, sono tornati a farsi vivi i dubbi e le incertezze sull’andamento dell’economia statunitense e sulle prossime mosse della Fed nella riunione di dicembre.

Se sulla prima questione risposte soddisfacenti arriveranno solo a partire da dicembre inoltrato – riattivare la macchina delle statistiche, infatti, richiede un po’ di tempo – sulla seconda questione, vale a dire le prossime mosse della banca centrale, il materiale su cui ragionare non manca, tra qualche indizio sull’andamento dei prezzi e le tante dichiarazioni dei governatori arrivate nei giorni scorsi.

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Togliamoci il peso e partiamo dalla sintesi: in linea con le parole pronunciate dal governatore Powell qualche settimana fa, anche un discreto numero di membri del board sembra orientato verso un atteggiamento di prudenza, tanto che l’ulteriore taglio dei tassi di 25 punti base a dicembre, pur rimanendo altamente probabile, perde consensi. Per metterla giù in percentuali, basta pensare che un mese fa la probabilità della nuova sforbiciata a fine 2025 era del 95%; settimana scorsa la stessa probabilità è scesa al 52%.

Al netto della posizione ultra dovish del governatore Miran, infatti, il tenore delle dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti della FED ha il rumore inconfondibile di una frenata a quattro ruote bloccate. Vediamone qualcuna.

Susan Collins, Fed di Boston, ha parlato di asticella molto alta per un ulteriore taglio dei tassi a dicembre, sostenendo come sia più consono lasciare i tassi invariati per un adeguato periodo di tempo. Il ragionamento di Collins parte dal presupposto che il mercato del lavoro sia sostanzialmente in una fase di stasi e che i livelli occupazionali non siano peggiorati sensibilmente dall’estate scorsa ad oggi. In questo scenario, afferma la governatrice, spingere troppo sull’allentamento della politica monetaria potrebbe rallentare o addirittura bloccare il ritorno dell’inflazione verso il target del 2%. Insomma, a meno che il tasso di disoccupazione (che non vedremo nel report relativo al mese ottobre) non dia segni di forte risalita, per Susan Collins meglio prendersi una pausa di riflessione.

Raphael Bostic, Fed di Atlanta, la mette giù ancora più semplice. In questo momento, dice Bostic, l’inflazione è il problema più urgente, non il mercato del lavoro. Una posizione che lo porta a suggerire un atteggiamento prudente sul reale andamento dei prezzi, specialmente dopo uno shock tariffario come quello voluto dall’amministrazione Trump.

Neel Kashkari, Fed di Minneapolis, sembra ancora più incerto sul da farsi. Intervistato da Bloomberg TV, Kashkari a sottolineato come l’economia statunitense stia mostrando segnali di resilienza. Il governatore non ha negato la presenza di fragilità sul fronte del mercato del lavoro, ma ha anche ricordato come i conti delle aziende statunitensi rimangano buoni e le prospettive per il 2026 siano positive.

Ne potremmo citare altre, ma già da queste dichiarazioni è facile capire quale sia al momento la posizione dominante all’interno del board: l’inflazione rimane il tema centrale e solo dati veramente negativi sull’andamento dell’economia (e del mercato del lavoro) potrebbero far accelerare il passo sulla riduzione dei tassi di interesse.

Foto Federal Reserve

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