Negli ultimi anni, il tema del climate change ha assunto una centralità sempre maggiore anche nel mondo della politica monetaria. L’atteggiamento con il quale le banche centrali hanno approcciato questa nuova sfida può insegnare molto anche al legislatore.
Recentemente una ricerca di Caspar Siegert e James Talbot e un sondaggio del Network for Greening the Financial System (NGFS) hanno portato un ulteriore contributo su come il cambiamento climatico stia ridefinendo il ruolo delle banche centrali. Pur non essendo dei policy maker ambientali, le banche centrali si trovano oggi a dover considerare come i rischi climatici possano influire sui fondamentali economici – dall’inflazione alla crescita – e, in ultima analisi, sulla stabilità finanziaria. E leggendo queste ricerche viene spontaneo fare un parallelo con l’atteggiamento, spesso troppo enfatico, di alcuni legislatori sul tema del climate change.
Le banche centrali hanno già introdotto misure per favorire strumenti finanziari più “verdi” e per modificare i parametri dei loro meccanismi di credito e dei regimi di garanzia. Questi aggiustamenti sono concepiti per proteggere i bilanci delle banche centrali dai rischi associati al climate change e, allo stesso tempo, per contribuire alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Alcune banche centrali hanno adattato le modalità di concessione del credito, modificando il pricing e i criteri di eleggibilità per incentivare finanziamenti che favoriscano investimenti “verdi”. Nei programmi di acquisto titoli si è assistito al cosiddetto “tilting”, ovvero una rotazione del portafoglio di acquisto verso asset che rispettino criteri di sostenibilità ambientale. E ancora, le banche centrali stanno progressivamente riconsiderando quali asset possono essere accettati come collateral e in che misura, introducendo aggiustamenti (ad esempio, maggiori haircuts per asset ad alta intensità di carbonio) che riflettano il maggior rischio climatico.
Non mancano le difficoltà operative, come la scarsità di dati affidabili e la complessità di bilanciare l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi con la necessità di mitigare rischi che, pur essendo emergenti, potrebbero compromettere la stabilità finanziaria. In altre parole, le banche centrali devono confrontarsi con il dilemma di adottare misure che, se da un lato rafforzano la resilienza del sistema, dall’altro potrebbero incidere sulla trasmissione tradizionale della politica monetaria.
A differenza di alcuni legislatori e nonostante l’urgenza del tema, le istituzioni monetarie hanno adottato un approccio cauto e graduale. Inizialmente, le misure introdotte sono state moderate, con la prospettiva di ampliarle nel tempo, man mano che la conoscenza dei trade-off si approfondirà e le esperienze accumulate guideranno future decisioni.
Lo studio mostra come le banche centrali stiano già modificando diversi elementi della loro politica monetaria – dalle operazioni di credito, ai programmi di acquisto di asset, fino ai criteri di collateral – per meglio rispondere alla sfida del climate change, pur mantenendo l’obiettivo primario di garantire la stabilità finanziaria e dei prezzi. In questo si nota una differenza importante con l’atteggiamento di alcuni legislatori, troppo concentrati ad introdurre rigide regolamentazione perdendo di vista uno dei loro scopi principali: garantire una crescita sostenibile dell’economia.
Foto di andreas160578