Da sabato scorso la strategia dei dazi di Donald Trump è entrata nel vivo: tariffe del 25% sulle importazioni da Canada e Messico; un 10% aggiuntivo sui beni provenienti dalla Cina; minacce di imminenti decisioni verso l’UE. Mosse che l’amministrazione statunitense giustifica in vario modo: come una risposta alla mancata collaborazione sui temi dell’immigrazione illegale e del traffico di droga, o come intervento per la protezione dell’economia americana. La reazione dei paesi colpiti non si è fatta attendere e nelle ultime ore le agenzie di stampa riferiscono di imminenti colloqui tra l’amministrazione statunitense, il Canada ed il Messico. Insomma, una storia già vista.
Secondo l’analisi di Warwick J. McKibbin e Marcus Noland (PIIE), i nuovi dazi potrebbero causare danni significativi non solo alle economie dei paesi colpiti, ma anche agli stessi Stati Uniti, riducendo la crescita ed aumentando l’inflazione. Ma proprio gli effetti sull’inflazione, almeno nel breve termine, sono al centro di un interessante dibattito.
Lo studio del PIIE prevede una riduzione del PIL reale dello 0,5% negli Stati Uniti nel 2025, con effetti negativi anche in Canada e Messico. Le tariffe, infatti, comporterebbero un aumento dei costi per le imprese americane che dipendono dalle importazioni, con conseguenze dirette sui prezzi al consumo e sull’occupazione.
Secondo le stime, l’inflazione potrebbe aumentare dello 0,5%, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie statunitensi. Inoltre, settori chiave come quello automobilistico e agricolo potrebbero subire pesanti contraccolpi, portando alla perdita di migliaia di posti di lavoro.
Una prospettiva diversa viene espressa da Diego Comin e Robert Johnson nel loro “Tariffs are coming: How trade dynamics will shape aggregate demand and inflation“, pubblicato recentemente dal CEPR.
Gli autori sostengono che l’impatto dei dazi sull’inflazione non è necessariamente diretto. L’effetto dipende da vari fattori, tra cui la natura temporanea o permanente dei dazi stessi e la rapidità con cui il commercio si adatta a queste modifiche. In alcuni scenari, una riduzione graduale del commercio potrebbe persino abbassare l’inflazione, ma ciò avverrebbe a scapito di una diminuzione del benessere economico complessivo, poiché la deglobalizzazione ridurrebbe i benefici derivanti dal commercio internazionale.
Mentre lo studio del PIIE evidenzia effetti negativi immediati, come la riduzione del PIL reale e l’aumento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti, l’analisi del CEPR sottolinea che l’impatto dei dazi sull’inflazione è complesso e dipende da come le dinamiche commerciali si evolvono nel tempo. Entrambe le analisi concordano sul fatto che i dazi possono avere conseguenze economiche significative, ma differiscono nell’enfasi sugli effetti immediati rispetto a quelli a lungo termine e sulle dinamiche attraverso le quali questi effetti si manifestano.
Queste prospettive offrono una visione più sfumata dell’impatto delle politiche tariffarie. Mentre è evidente che i dazi influenzano l’economia, la natura e l’entità di tali effetti dipendono da una serie di fattori, tra cui la durata delle misure tariffarie e la capacità delle economie di adattarsi alle nuove condizioni commerciali. Pertanto, è essenziale considerare sia gli effetti immediati che quelli a lungo termine quando si valutano le implicazioni delle politiche tariffarie.
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