Brexit, il conto è salato su inflazione ed investimenti

La Brexit continua a condizionare l’economia britannica, su inflazione ed investimenti il conto è salato.

Lo scoppio della pandemia di Covid-19 e le tensioni geopolitiche ravvivate dalla guerra in Ucraina hanno portato in secondo piano quel lento processo di distacco della Gran Bretagna dall’Unione Europea che conosciamo col nome di Brexit e che, a quanto traspare dai numeri, comincia a presentare un conto piuttosto salato all’economia britannica.

L’opinione pubblica inglese dibatte in questi giorni soprattutto di inflazione e le ragioni sono evidenti. Nel mese di maggio l’indice dei prezzi al consumo ha raggiunto una variazione annua del 9%. La BoE, a margine dell’ultimo rialzo dei tassi, ha stimato che l’inflazione possa toccare verso la fine dell’anno la soglia del 10%. Tutta colpa della tempesta sul mercato delle materie prime? Non proprio. Almeno questo è il pensiero di Adam S. Posen, presidente del PIIE. Nel corso del suo intervento al convegno organizzato da UK in a Changing Europe (titolo: The economics of Brexit: What have we learned?), Posen ha evidenziato il differente andamento dell’inflazione core negli ultimi anni tra i paesi europei. Tre elementi balzano all’occhio: l’indicatore britannico ha cominciato ad aumentare molto prima dello scoppio della guerra, vale a dire dalla metà del 2021; l’inflazione inglese è nettamente superiore a quella italiana e tedesca, economie molto più esposte alle importazioni di energia dalla Russia; pur in presenza di risposte simili alla crisi del mercato del lavoro scatenata dalla pandemia, la Francia ha un’inflazione core più bassa rispetto a quella inglese.

La realtà, secondo Posen, è che la Brexit ha amplificato l’aumento dei prezzi negli ultimi anni. Il mercato del lavoro è diventato meno flessibile a causa delle limitazioni all’ingresso di lavoratori stranieri; il ritorno di tariffe su beni e servizi provenienti dall’Europa ha aumentato i costi per imprese e famiglie; l’incertezza politica sul cammino di completamento della Brexit ha disancorato le aspettative di inflazione, generando ulteriori danni.

Ma quelli relativi al carovita non sono gli unici numeri che fanno sedere la Brexit sul tavolo degli imputati. Ve ne sono altri che, se possibile, sono ancora più significativi e preoccupanti per l’economia del regno. Recentemente il ministro dell’economia britannico, Rishi Sunak, ha rivolto un appello alle imprese affinchè tornino ad investire. Non un generico appello, come se ne sentono spesso alle nostre latitudini, ma la conseguenza di numeri critici. Gli investimenti delle imprese inglesi sono in progressivo calo da anni e nel 2019 – dati OCSE – l’economia britannica era finita all’ultimo posto del G7 per investimenti privati su PIL (10.46% contro il 17.43% del Giappone, primo in questa speciale classifica). Cosa c’entra la Brexit? Il gap rispetto alle altre grandi economie si è andato allargando proprio all’indomani dell’uscita dall’Unione. Secondo i dati dell’istituto di statistica inglese, dal 2016 il trend di crescita degli investimenti aziendali ha cominciato a deviare dal suo potenziale in maniera significativa; un delta che nel 2022 è arrivato a quasi 40 miliardi di sterline.

Analizzando un indicatore chiave come quello della produttività, elemento direttamente influenzato dagli investimenti aziendali, si ha un quadro piuttosto chiaro (fonte dati Bloomberg). Fatto 100 la produttività nel 1997, la Gran Bretagna è passata dal secondo posto tra le 7 maggiori economie raggiunto nel 2008 al quarto posto del 2020, molto staccata da USA, Canada e Giappone.

Illustrazione di DANIEL DIAZ

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