Le materie prime alimentari hanno visto un forte rialzo dei prezzi nell’ultimo decennio, ma questo potrebbe essere solo l’inizio se non verranno messe in atto azioni concrete e rapide per limitare il surriscaldamento globale.
Ne parlavamo qualche settimana fa e ci torniamo oggi per commentare l’ultimo report rilasciato dal Think Tank Chatham House sui rischi collegati al cambiamento climatico. Il rapporto, uno dei molti sussidi che istituti di ricerca di tutto il mondo stanno producendo in vista della fondamentale COP26 di Glasgow, affronta in maniera piuttosto diretta i rischi che il surriscaldamento climatico porterà da qui al 2050 sul fronte economico e sociale. Colpisce in particolare la parte dedicata alle materie prime alimentari.
Secondo lo studio per poter far fronte alla crescita della domanda mondiale di cibo, l’agricoltura dovrebbe essere in grado di aumentare la produzione del 50% entro il 2050. Ma i dati ci dicono, invece, che in assenza di misure per ridurre drasticamente le emissioni inquinanti la produzione scenderà del 30%. Già solo da questa indicazione è facile intuire quali potrebbero essere le conseguenze. Le superfici coltivabili a rischio di gravi episodi di siccità potrebbero aumentare del 32% all’anno entro il 2040, un tasso di crescita tre volte superiore alla media storica. Altro dato: la probabilità di una riduzione del 10% della produzione di mais in uno dei quattro maggiori paesi produttori è vista tra il 40% ed il 60% nel 2040; ed un calo del 10% o superiore in tutti e quattro i paesi potrebbe raggiungere una probabilità vicina al 50% sempre entro il 2040.
Scarsità. Questo il concetto che emerge dai vari scenari analizzati da Chatham House. Considerando la produzione di riso e grano, alimenti che forniscono il 37% del fabbisogno calorico giornaliero alla popolazione mondiale, lo scenario centrale – quindi il più probabile – ci dice che la percentuale di terreni destinati alla coltivazione di questi cereali a rischio siccità aumenterà fino al 35% entro il 2050.
Numeri e scenari che vengono confermati da un altro report, quello confezionato dallo Stockholm Environment Institute. Per i ricercatori svedesi i cambiamenti climatici ridurranno nel lungo termine, la produzione di prodotti alimentari fondamentali come caffè e zucchero fino al 59%. Il ruolo centrale nella produzione di materie prime alimentari giocato da USA, Cina e Brasile è causa di forte preoccupazione. La loro esposizione ai rischi climatici può comportare forti squilibri sul mercato delle materie prime. L’esempio più lampante è ancora una volta quello del mais. Secondo lo Stockholm Environment Institute, a fine secolo, la produzione statunitense di questo cereale potrebbe ridursi della metà e a poco servirebbe per la domanda mondiale l’incremento di produzione di paesi come Russia o Canada.
Le conseguenze, come dicevamo, sono facilmente intuibili. Aumento della popolazione mondiale in condizioni di food insecurity, scarsità di materie prime alimentari anche nelle zone del mondo fino ad ora al riparo. Ad accompagnare tutto ciò un forte aumento dei prezzi.
Una larga parte di queste previsioni possono essere scongiurate mettendo in atto da subito politiche di forte riduzione delle emissioni, coordinate a livello globale e soprattutto di veloce attivazione. Qualsiasi decisione del COP26 che non sia rapidamente operativa dovrà considerarsi un fallimento.
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