Inflazione, tra storia e curva di Phillips

La Fed la considera transitoria, i mercati sono più incerti. La questione inflazione tiene banco e gli economisti provano a trovare indizi tra storia delle pandemie e curva di Phillips.

L’argomento caldo del momento rimane il possibile andamento dell’inflazione nei mesi a venire. Come dicevamo martedì scorso il dilemma che tormenta gli economisti è sulla persistenza del fenomeno. Sarà transitorio oppure no? Sempre martedì suggerivamo una nuova domanda, vale a dire la natura di questa inflazione. Per il momento, dicevamo, sembra tutta causa della dinamica dell’offerta che stenta a riposizionarsi dopo la crisi pandemica, di un reale aumento delle domanda non ci sono ancora tracce evidentissime. Cosa accadrà se e quando queste inizieranno a palesarsi?

Discorsi e teorie si sprecano. Potrebbe essere utile guardare alla storia? E’ quello che provano a fare i due studi dei quali vi vorremmo parlare oggi. Il primo compie un viaggio nel tempo fino a tornare al 1300, agli anni della Morte Nera e, tra pandemie e guerre, prova a delineare le reazioni dell’inflazione e dei tassi di interesse all’indomani di ogni shock. Il secondo studio, invece, prova a concentrarsi sugli anni più recenti e sugli USA, verificando se il trend deflazionistico presente prima della pandemia possa essere confermato e se lo scenario iper inflattivo degli anni 60 dello scorso secolo ha possibilità di ripetersi.

Partiamo dalla storia. Kevin Daly, Rositsa D. Chankova nel loro Inflation in the aftermath of wars and pandemics ripercorrono la lunga storia dei tassi di inflazione e di interesse a partire dalla prima grande pandemia del secondo millennio, la Morte Nera. Da lì la raccolta dei dati prosegue attraversando 12 momenti di shock, tra guerre e pandemie. Obiettivo scoprire se c’è un comportamento tipico di infazione e rendimenti nelle fasi post pandemia o guerra e se questo comportamento potrebbe, in qualche maniera, riproporsi anche ai giorni nostri. Le serie storiche indicano che nel caso di guerre l’inflazione ha generalmente mostrato una tendenza all’aumento durante e nella fase immediatamente successiva, con un picco raggiunto mediamente dopo un anno dal termine del conflitto.

Nel caso delle pandemie la storia ci dice che il comportamento dei prezzi è stato completamente differente. L’eredità delle pandemia si è materializzata in un periodo di bassa inflazione, periodo prolungato per quasi un decennio. Uno degli effetti che accomunano i passati episodi pandemici è infatti una contrazione della domanda, forte e prolungata. Al contrario i conflitti bellici sembrano spingere all’insù la domanda (prima per motivi bellici e successivamente per la ricostruzione).

Se la storia vale qualcosa, allora ci sta dicendo che l’inflazione non è un fenomeno strettamente legato alla pandemia ma che ha più a che fare con eventi capaci di distruggere capitale. In sostanza l’attuale pandemia avrebbe aspetti simili a quelli di una guerra, perchè le misure di contenimento avrebbero agito – esclusivamente in ambito economico – come bombe sulla struttura produttiva globale.

Laurence Ball, Gita Gopinath, Daniel Leigh, Prachi Mishra, Antonio Spilimbergo hanno provato invece a concentrarsi sulla storia recente, per cercare di capire se l’inflazione negli USA possa prendere il volo nel prossimo biennio, magari prefigurando uno scenario in stile anni 60. Per farlo lo studio riprende la cara e vecchia curva di Phillips, quella che mette in relazione (inversa) inflazione e disoccupazione. Se la prima sale la seconda tende a scendere e viceversa. Relazione che Ball e colleghi mostrano persistere – dedotti i licenziamenti temporanei – anche nel periodo della pandemia.

Se il pacchetto di stimoli preparato dall’amministrazione Biden funzionerà, allora l’effetto dovrebbe essere una riduzione pronunciata della disoccupazione che, stando alla relazione proposta da Phillips, causerebbe un aumento dei prezzi. Secondo le stime riportate dallo studio la fiammata inflazionistica non supererebbe, nel biennio 2022-2023, il livello del 3% nella componente core (l’ipotesi è una disoccupazione sotto ai due punti percentuali), rimanendo in una zona di controllo per la Fed. Sul dato potrebbero agire due opposte forze. Da un lato una maggiore occupazione stemperebbe la tensione sui prezzi degli input, riducendo la spinta inflazionistica. Dall’altro lato un’aspettativa di inflazione che si stacca dal reale andamento macro potrebbe far saltare il tavolo e portare l’inflazione oltre la soglia stimata. Per evitare questo, ricordano i ricercatori, la manovra fiscale espansiva deve essere di breve periodo e la comunicazione della FED deve mantenersi il più possibile chiara e credibile.

Illustrazione di mohamed Hassan

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