Tra Goldilocks economy e curva dei tassi

Ad un passo dal termine del 2017 l’economia mondiale si dibatte tra ritmi di crescita non troppo sostenuti e – per le economie sviluppate – un’inflazione che rimane anemica. La chiamano Goldilocks economy ed è un fragile equilibrio che potrebbe accompagnarci anche per i prossimi 12 mesi.

Dal porridge al’economia. La storia di Riccioli d’Oro (Goldilocks) diventa metafora per spiegare la situazione macroeconomica nella quale gran parte delle economie sviluppate si dimenano da qualche tempo e – rebus sic stantibus – che dovrebbe caratterizzare anche i prossimi 12 mesi. Ma di cosa stiamo parlando? Si tratta di un equilibrio singolare per il quale la crescita economica non innesca una crescita dei prezzi. Si cresce senza creare inflazione ma creando occupazione (in barba alla curva di Phillips – secondo cui il calo della disoccupazione fa salire l’inflazione e viceversa). Ecco che il porridge che piaceva a Riccioli d’Oro (né troppo caldo, né troppo freddo) è la condizione nella quale le economie sviluppate si trovano a vivere, volenti o nolenti: una crescita non troppo vigorosa, un’inflazione poco sostenuta.

Non si tratta di un equilibrio cercato volontariamente ma l’effetto di un mix di fattori. Il lungo e doloroso periodo di crisi, l’inondazione di liquidità e la conseguente crescita del debito a livello mondiale sembrano aver creato le condizioni psicologiche per una crescita prudente, che guarda avanti ma si gira spesso a valutare quanto accaduto in passato con l’angoscia che tutto possa ripetersi.

La Goldilocks economy è un equilibrio fragilissimo, un campo minato nel quale il minimo passo falso potrebbe far crollare tutto. Se improvvisamente i prezzi subissero una fiammata questo costringerebbe le banche centrali ad intervenire in maniera vigorosa aumentando i tassi di interesse. Considerando gli alti livelli di debito l’aumento dei tassi stritolerebbe le ripresa economica. A scatenare un aumento dei prezzi potrebbe essere sia un fattore esterno sia un aumento del ritmo di crescita. La conclusione è che qualsiasi minima variazione di una delle due variabili in gioco rischia di far saltare il banco.

Ecco spiegata l’estrema prudenza con la quale si stanno muovendo le Banche Centrali. La Fed e la BCE, in presenza di segnali comunque coerenti di espansione, stanno programmando un progressivo rientro dai loro piani di QE ma con tempi lenti. La Banca del Giappone continua, addirittura, a sostenere una politica di tassi negativi.

In questo sottile gioco di equilibrio gli occhi degli investitori, nel 2018, saranno rivolti anche all’andamento della famigerata curva dei tassi. Si tratta di un grafico che disegna i rendimenti dei titoli di stato dal breve periodo al lungo periodo. In un mondo perfetto i rendimenti a breve sono più bassi dei rendimenti a lungo termine ma esiste un momento, un brutto momento per il ciclo economico, nel quale i tassi a breve diventano più redditizi di quelli a lungo. La famosa inversione della curva dei tassi è da sempre considerata l’annunciazione di una fase di recessione che, statisticamente, si avvia da lì a 2-3 anni.

Se diamo uno sguardo agli Stati Uniti,  il cui ciclo economico sembra essere più maturo rispetto ad altre economie sviluppate, notiamo come attualmente i tassi a breve (2 anni) siano posizionati attorno all’1,8% mentre quelli a lungo (10 anni) veleggino sul 2,5% di rendimento. Questo spread e la sua dinamica nel corso dei prossimi mesi (anche in vista di ulteriori interventi da parte della FED) ci dirà molto sul cosa attendersi nel prossimo lustro. Nel frattempo Riccioli d’oro e la sua Goldilocks economy continueranno prudentemente ad accompagnarci in questa nuova e per certi versi inedita fase dell’economia mondiale.

 

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