Con il coronavirus causa di una pandemia capace di bloccare la produzione di intere economie e di ridurre i consumi, la recessione sarà inevitabile? A questo punto pare proprio di si. E sarà la risposta della politica fiscale a determinarne durata e severità.
La pandemia causata dal coronavirus SARS-Cov2 ha velocemente modificato lo scenario macroeconomico mondiale. Tutti i paesi che, uno dopo l’altro, scoprono focolai interni di covid-19 si accorgono – alcuni con sciagurato ritardo – che l’unica arma efficace per contrastare la malattia è l’isolamento sociale. Questo significa misure drastiche che impattano su elementi fondamentali per la crescita economica di un paese: la produzione di beni e servizi, gli scambi commerciali internazionali e la domanda interna.
Giunti a questo punto e con i primi indicatori macroeconomici a disposizione è naturale porsi la domanda delle domande: la recessione sarà inevitabile?
Se vi ricordate abbiamo spesso fatto riferimento a 3 lettere dell’alfabeto per cercare di identificare le possibili traiettorie della crescita economica dall’esplosione della pandemia. Abbiamo parlato di andamento a V, a U e – il peggiore possibile – a L. Ebbene, la dimensione globale assunta dal fenomeno fa si che la prima ipotesi, quella a V che prevedeva una rapida caduta ed una altrettanto rapida risalita, risulti oramai poco probabile. Attualmente lo scenario più fattibile prevede un andamento a U, con la base della lettera U a rappresentare un periodo di recessione, la cui durata e severità saranno inversamente proporzionali alla capacità di risposta della politica fiscale e monetaria. Il fallimento del tentativo di contenimento degli effetti economici sfocerebbe in uno scenario a L.
I primi dati macro sono arrivati dalla Cina e parlano di una pesante riduzione della produzione industriale (-13% nei primi due mesi del 2020), di un crollo delle vendite al dettaglio (-20% circa) e di una risalita del tasso di disoccupazione. A picco epidemico superato, la Cina sta tornando a produrre a circa l’80% delle sue capacità ma si trova di fronte due problemi, entrambi dal lato della domanda: una debolezza della domanda interna ed il venir meno di una larga fetta di esportazioni. Si tratta di quel fenomeno che abbiamo chiamato di shock offerta/domanda.
Altri dati stanno affluendo sui desk degli analisti dagli altri paesi: consumi elettrici, dati flash sulle vendite, traffico, viaggi. Anche sulla scorta di tali dati, molti report in questi giorni confermano che a causa del coronavirus la recessione sarà inevitabile in molti paesi. Goldman Sachs stima per gli USA una frenata dell’economia nei primi due trimestri attorno al 5% annualizzato, con un saldo a fine 2020 che oscillerebbe tra il +0.4% ed il segno meno. In Germania il governo calcola che la pandemia impatterà sull’economia teutonica almeno fino all’autunno, mentre il commissario europeo Gentiloni avverte che il segno meno sarà fattore comune per tutti i paesi dell’Unione, con un impatto sull’eurozona stimato attorno ai 2,5 punti percentuali di PIL in meno (significherebbe un 2020 con una crescita negativa all 1.1%).
I mercati finanziari in questi giorni stanno scontando questo scenario, uno scenario da recessione globale. Per toccare il fondo e cominciare a risalire attendono di capire come vorranno muoversi i governi (G7, G20, Europa). Perchè, se a causa del coronavirus la recessione è inevitabile, è altrettanto vero che sarà la risposta della politica fiscale (e monetaria) a determinarne la durata e la severità. Più si riesce a “congelare” la capacità produttiva e la domanda interna, preservandone le potenzialità attuali, e più sarà probabile, una volta usciti dal tunnel della pandemia, recuperare livelli di crescita accettabili. Non mancano gli ostacoli, a cominciare dal debito. Ne parleremo nel prossimo post.
Foto di Gerd Altmann