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Oro e azioni: tante forze (anche contrapposte) alimentano la correlazione positiva

Nel 2025 l’oro ha aggiornato decine di volte i suoi massimi storici, l’azionario globale è tornato ai record e il franco svizzero si è rafforzato come bene rifugio. Tra politiche monetarie accomodanti, inflazione in rientro e incertezze geopolitiche, gli investitori si muovono in uno scenario inedito che ricorda un gioco di forze contrapposte.

Mai come in questo momento i mercati finanziari assomigliano al Dottor Jekyll e Mr. Hyde: da un lato, l’azionario globale ha messo a segno un prodigioso recupero dopo lo scivolone di aprile, alimentato dai segnali contrastanti provenienti dagli Stati Uniti; dall’altro, l’incertezza geo-politica ed economica e la prospettiva di politiche monetarie accomodanti hanno spinto gli investitori verso asset tradizionalmente difensivi come l’oro e il franco svizzero.

Uno scenario che sempra costruito su alcune contraddizioni, ma che in realtà è il risultato delle tante variabili in campo. Una danza di forze contrapposte, quasi un compito di fisica, che conferma quanto — da quel fatidico 2020 in poi — l’economia e la finanza si stiano muovendo in terre inesplorate, con dinamiche non ancora del tutto chiare.

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Ma per iniziare vediamo qualche numero. Partiamo dall’oro. Nel 2025 il lingotto ha ritoccato per 37 volte il proprio massimo storico, segnando finora la migliore performance annua dal 1979. Corretta per l’inflazione, la quotazione reale è tornata ai livelli d’inizio anni 1980

Passando all’azionario globale, la ripresa è stata vigorosa. Indici come il MSCI World hanno raggiunto nuovi record, sostenuti dal rally USA e dal traino del settore tech. Secondo JPMorgan, il recupero dei mercati è stato uno dei più rapidi su record — una reazione forte all’onda di shock e volatilità.

Sul fronte del franco svizzero, la moneta elvetica si è avvicinata ai livelli più alti contro il dollaro mai visti dal 2011.

Nell’analisi intermarket la correlazione positiva tra oro e azioni non è una novità. Quando entrambi gli asset si muovono al rialzo significa che stanno beneficiando di fattori comuni o complementari. Ma quali sono questi fattori e cosa significano per l’investitore?

Il principale rimane l’inflazione: il suo andamento, la sua persistenza e la sua elasticità rispetto a variabili come i dazi sono gli elementi chiave osservati da investitori e banche centrali per formulare aspettative in materia di politica monetaria, mercato del lavoro e crescita economica. La relazione di base, detta in parole semplici, è sempre la stessa: inflazione sopra il target = aumento dei tassi; disoccupazione che si allontana dal livello di “piena occupazione” = riduzione dei tassi. Se entrambe le variabili tendono a stabilizzarsi su livelli sostenibili, i tassi d’interesse si collocano in una zona neutrale.

Lo scenario globale attuale — con diverse sfumature a seconda dei Paesi — vede l’inflazione muoversi lentamente verso la normalizzazione e le banche centrali accompagnarla con politiche monetarie progressivamente meno restrittive. Il tutto si inserisce in un contesto di disoccupazione stabile o in leggero aumento e di crescita moderata. Facile concludere che le aspettative degli investitori siano orientate a ulteriori riduzioni dei tassi, con un rischio più sbilanciato sul fronte occupazionale che non su quello dei prezzi.

Trasferendo questo quadro ai mercati finanziari, gli effetti sono molteplici. Politiche monetarie accomodanti aumentano la propensione al rischio e riducono il tasso di sconto sugli utili futuri delle azioni, spingendo i listini al rialzo. Allo stesso tempo cresce l’appeal dell’oro: tassi reali più bassi (cioè al netto dell’inflazione) rendono meno “costoso” detenere un asset che non distribuisce dividendi o cedole.

Ma non è tutto. Se la riduzione dei tassi riguarda la Federal Reserve, allora ci sono conseguenze dirette anche per il dollaro. Tassi più bassi tendono a indebolirlo e questo produce almeno tre effetti:

  1. l’oro diventa ancora più interessante come strumento di diversificazione, anche per le banche centrali;
  2. la perdita di centralità del biglietto verde spinge gli investitori a considerare altre valute come riserva di valore;
  3. l’azionario dei Paesi emergenti riceve ulteriore slancio, perché un dollaro debole ne migliora la competitività, attrae capitali e favorisce le esportazioni.

Infine, a rendere il quadro ancora più unico c’è lo scenario geopolitico: guerre, sia commerciali che in senso stretto, alimentano l’incertezza e inducono gli investitori a mantenere un piede in asset difensivi, capaci di proteggere il portafoglio in caso di tempesta. Da qui deriva l’ulteriore spinta sull’oro, sui metalli preziosi in generale e sulle performance del franco svizzero.

Se qualche buon’anima è arrivata a leggere il post fino a questo punto, avrà certamente intuito in quale incastro di delicati equilibri si stiano muovendo i mercati finanziari e che le forze che ora sostengono oro e azioni siano tutto fuorchè stabili. Ecco allora il motivo dei tanti, giustificati, richiami che per ad utilizzare strategie di investimento che puntino forte sulla diversificazione.

Foto di Pete Linforth

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