Consueto appuntamento con la fotografia dei mercati finanziari di KB Meter. Il caso DeepSeek non sembra aver cambiato l’umore degli investitori, ma il grande inzio 2025 dell’oro fa riflettere.
Partiamo subito dal sentiment. Dopo quanto successo lunedì scorso, vale a dire dopo il caso DeepSeek, e alla luce delle ultime vicende sui dazi, è cambiato l’umore degli investitori?
Quando a muoversi sono i titoli tecnologici, ed in particolare le magnifiche sette come nel caso DeepSeek, è normale che il rumore che si crea sia forte. Detto questo, però, non abbiamo intercettato segnali di cambiamento di tendenza direttamente imputabili a questo episodio. Vedremo nei prossimi giorni gli effetti della nuova guerra commerciale, l’impressione è che ci sia ancora spazio per non far danni sul fronte del sentiment, ma è uno spazio che si restringe. C’è da sottolineare, e lo facciamo da qualche giorno nelle nostre analisi giornaliere, che il 2025 è iniziato con una forte domanda di oro. In più, la nostra analisi di sentiment mostra anche una certa forza da parte della liquidità. Allo stesso tempo l’azionario rimane comunque orientato al rialzo. Potremmo dire che lo scenario è ancora da risk on, ma l’impressione è che gli investitori stiano comunque mettendo in atto qualche mossa difensiva, sia a livello di settori, sia a livello di asset. La volatilità degli ultimi giorni potrebbe rafforzare questa tendenza.
Preoccupa la variabile Trump?
Trump è una variabile a tutto tondo. Può generare entusiamo quando parla di investimenti tecnologici o criptovalute, oppure creare panico con i suoi annunci sulle tariffe, come sta succedendo in questo inizio di settimana. Diciamo che il mercato deve un po’ abituarsi a questo tipo di strategia comunicativa e politica. Poi arriveranno i primi numeri della sua amministrazione, quello sarà un po’ il momento della verità. Sicuramente dovremo mettere in conto un periodo piuttosto volatile sui mercati, soprattutto per quel che riguarda il mercato azionario. Sulle tariffe al momento siamo in una fase di schermaglie e gli effetti iniziano e terminano sui listini. Ma più a lungo i dazi rimangono attivi, più gli effetti si trasferiranno dai mercati all’economia reale. E le conseguenze non si faranno attendere sul fronte dei profitti, della crescita e dell’occupazione.
Intanto, un po’ sottotraccia, l’azionario europeo ha recuperato terreno
Già. Al netto delle turbolenze degli ultimi giorni, se andiamo a guardare il confrontro tra S&P500 ed Eurostoxx50 la situazione è piuttosto evidente. E la maggior forza dell’azionario europeo è ora visibile anche nella media a 10 settimane. Un risultato impensabile fino a qualche mese fa. Qui i fattori che entrano in gioco sono tanti. L’euro debole aiuta le esportazioni, e una politica monetaria che si muove al ribasso più velocemente rispetto a quella statunitense crea ottimismo. E poi le valutazioni delle società europee continuano ad essere in forte sconto rispetto a quelle statunitensi. Società che spesso hanno gran parte del loro fatturato al di fuori dell’area Euro, quindi sono meno condizionate da una domanda interna debole. Come detto, dazi applicati a lungo possono stravolgere tutto.
Parlavamo prima di oro. Com’è la situazione per quel che riguarda le materie prime.
Nel complesso continua la fase laterale per le materie prime. Più nello specifico osserviamo un raffreddamento delle materie prime agricole ed un riaccelerare della componente energia. Tutto però è dominato dai metalli preziosi e dall’oro in particolare. La domanda di oro è spinta dall’incertezza geopolitica e dalla riduzione dei tassi reali, figlia delle ultime decisioni di politica monetaria delle grandi banche centrali. Banche centrali, tra l’altro, che rappresentano esse stesse una componente non trascurabile della domanda di oro. Dal punto di vista intermarket, inoltre, nelle ultime settimane abbiamo assistito a una accoppiata insolita: crescita dell’oro e crescita del dollaro. Una sorta di braccio di ferro tra i due asset che nelle ultime ore sembra andare a favore della valuta statunitense, spinta a mille dalle politiche protezionistiche di Trump.
Allora chiudiamo con le valute.
Il dollaro forte è la diretta conseguenza di aspettative di inflazione in salita e di una politica monetaria più lenta nel ridurre i tassi di interesse. Sappiamo che l’amministrazione Trump non vorrebbe un dollaro forte, nemico delle esportazioni, ma le prese di posizione sui dazi non aiutano certo a calmare le acque. Questa, se vogliamo, è la grande contraddizione delle prime scelte della nuova amministrazione statunitense. Per il resto, nel breve termine, si è rivisto protagonista lo Yen. Inizio 2025 da dimenticare, invece, per la Sterlina.
Foto di ncassullo