Tra qualche ora Donald Trump sarà ufficialmente il 47° presidente degli Stati Uniti. È la fine di un lungo periodo di transizione, iniziato a novembre scorso, nel quale i mercati finanziari, gli analisti politici e non solo hanno provato ad anticipare quanto potrà succedere dopo che Trump avrà varcato la porta dello studio ovale alla Casa Bianca.
E di discussioni, ipotesi, mezze rivelazioni se ne sono viste tantissime. Probabilmente una piccola parte di queste diventerà realtà, ma di sicuro possiamo delimitare il campo, individuando i temi chiave sui quali si accenderà la battaglia politica ed economico finanziaria.
In un interessante intervento su Project Syndacate, Daron Acemoglu (MIT), si occupa di uno dei temi caldi della nuova era Trump: l’immigrazione. Tra le varie proposte, c’è anche la revisione del programma di visti H-1B, che consente alle aziende americane di impiegare temporaneamente circa 600.000 lavoratori stranieri qualificati ogni anno. Per molti analisti un rischio per lo sviluppo e l’innovazione sul suolo statunitense. Ma Acemoglu osserva che, sebbene l’immigrazione di lavoratori altamente qualificati possa offrire benefici significativi, non vi sono garanzie che tali vantaggi si realizzino automaticamente. Egli evidenzia che una dipendenza eccessiva dal programma H-1B potrebbe indebolire l’incentivo per le aziende e le istituzioni americane a investire nell’istruzione e nella formazione dei lavoratori nazionali. Inoltre, questa dipendenza potrebbe portare a una stagnazione salariale per i lavoratori domestici nel settore tecnologico, poiché l’afflusso di lavoratori stranieri potrebbe esercitare una pressione al ribasso sui salari. Per massimizzare i benefici dell’immigrazione qualificata, è essenziale bilanciare l’ingresso di talenti stranieri con politiche che promuovano lo sviluppo delle competenze locali e garantiscano condizioni di lavoro eque per tutti i lavoratori.
Il premio Nobel Joseph E. Stiglitz, invece, analizza le sfide economiche che l’amministrazione del Presidente eletto Donald Trump dovrà affrontare, con particolare riguardo al tetto del debito federale degli Stati Uniti. Ecco un altro grande tema che coinvolge a cascata argomenti come gli incentivi fiscali, la detassazione e i titoli di stato.
Stiglitz sottolinea che, nonostante l’impegno di Trump e dei suoi sostenitori verso significativi tagli fiscali, le leggi dell’aritmetica fiscale rimangono inalterate: aumentare la spesa pubblica o ridurre le entrate senza adeguate compensazioni porterà inevitabilmente a un incremento del deficit di bilancio.
Evidenzia inoltre che, con l’avvicinarsi del raggiungimento del limite del debito, l’amministrazione dovrà necessariamente trovare un compromesso con il Congresso per evitare un default del governo federale.
Stiglitz conclude affermando che, per realizzare l’agenda economica proposta e garantire il funzionamento continuo del governo, sarà indispensabile che l’amministrazione Trump collabori con i legislatori, rispettando i vincoli di bilancio e le realtà economiche.
Il terzo tema chiave è naturalmente quello delle relazioni internazionali, commerciali e politiche. Nelle scorse settimane le dichiarazioni di Trump hanno dato qualche assaggio di come potrebbe essere da qui ai prossimi mesi l’atteggiamento della Casa Bianca nel trattare i rapporti con i partner. E tra i più delicati c’è sicuramente il rapporto con la Cina. La telefonata con il presidente cinese di due gioni fa e la volontà di risolvere positivamente il caso Tik Tok, fanno sperare in un approccio “morbido”, ma non tutti la pensano così. Ian Bremmer prevede che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca porterà a un disaccoppiamento non gestito tra Stati Uniti e Cina, aumentando il rischio di interruzioni economiche globali e crisi.
Durante la campagna elettorale, Trump ha promesso di imporre tariffe significative su Cina, Messico e Canada, una mossa che potrebbe innescare misure di ritorsione da parte di questi paesi. La Banca Mondiale ha avvertito che l’imposizione di tariffe del 10% sulle importazioni globali da parte degli Stati Uniti potrebbe ridurre la crescita economica mondiale nel 2025 di 0,3 punti percentuali, portando la già modesta previsione al 2,7%.
Inoltre, l’adozione di tariffe più elevate potrebbe portare a una frammentazione del commercio globale, con conseguenze negative per l’economia mondiale.
Bremmer sottolinea che, rispetto al primo mandato di Trump, i leader cinesi saranno meno concilianti, aumentando la probabilità di un conflitto commerciale prolungato tra le due maggiori economie mondiali.
Insomma, tanta carne sul fuoco. Allora non resta che aspettare qualche ora e sapremo quali saranno i primi provvedimenti del nuovo presidente.
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