C’è una balena spiaggiata che da qualche settimana, in quel di Baku, attira su di sé l’attenzione delle centinaia di persone che passeggiano lungo le rive del mar Caspio. Si tratta di un’installazione artistica, a detta di molti tremendamente realistica, che nelle intenzioni vorrebbe ricordare la crudeltà e la ferocia degli effetti del cambiamento climatico. Il rischio, però, è che l’immagine di quel cetaceo morente diventi la plastica rappresentazione del destino della conferenza sul clima che proprio a Baku, in Azerbaijan, sta vivendo la sua 29° edizione.
Ovviamente la speranza è quella di sbagliarsi, ispirati da una vena eccessivamente carica di pessimismo. Ma a sentire i commenti e le dichiarazioni che arrivano da qualche giorno, i timori che un enorme nulla di fatto si impossessi della scena sono alti.
Al centro del dibattito di questa COP29 sono ancora una volta i finanziamenti, e più precisamente l’impegno che le economie avanzate si sono prese nei confronti dei paesi emergenti e di quelli più poveri. Il tutto è etichettato sotto la voce “New Quantitative Collective Goal on finance” ed è verosimilmente su questo punto, assieme alla conferma della volontà di rinunciare ai combustibili fossili, che si capirà se Baku avrà o meno avuto successo.
L’oggetto del contendere è l’aumento del contributo che ogni anno le economie più ricche si sono impegnate a dare alle economie più povere per finanziarne la transizione climatica. Attualmente l’impegno è fissato a 100 miliardi di dollari all’anno; un impegno per altro non rispettato per molti anni, dato che solo nel 2022 si è effettivamente superata la soglia dei 100 miliardi di trasferimenti.
Il gruppo degli emergenti chiede di più e vorrebbe arrivare ad almeno un trilione di dollari, quello delle economie avanzate potrebbe arrivare a concedere un aumento fino a 300 miliardi all’anno. Ma al di là dei numeri il problema principale rimane il come finanziare questa richiesta. La disponibilità delle casse pubbliche di molte economie avanzate è oramai al limite. Tassi elevati, crescita lenta, richieste sempre più importanti dal settore difesa sono le variabili che rendono nei fatti quasi impossibile ulteriori stanziamenti di denaro pubblico da parte dei governi. Ergo, occorre trovare nuove fonti di finanziamento. Non potendo spremere oltre modo le istituzioni finanziare multilaterali (come la World Bank o la Bei) che già nel 2022 hanno contribuito per oltre il 60% dei finanziamenti erogati (dati BNEF), emerge in tutta la sua chiarezza la necessità di un maggior coinvolgimento del settore privato.
Non è un caso se proprio nei primi giorni della conferenza si è tenuto il Business, Investment, and Philanthropy Climate Platform (BIPCP), un forum al quale hanno partecipato oltre 1000 rappresentanti del mondo dell’impresa e della finanza. Durante l’evento è stato annunciato l’impegno da parte di un gruppo di investitori privati (asset valutati in 10 trilioni di dollari) per accelerare sul fronte dei finanziamenti green, creando un piano di intervento comune. Cifre e tempi non sono ancora definiti.
Foto di orxanliyev286