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La vittoria di Trump sui mercati: un mix di ottimismo e avvertimenti

La vittoria di Trump è stata vissuta in maniera intensa dai mercati finanziari. Ma al di là dell’ottimismo i segnali che stanno arrivando dal mercato obbligazionario ricordano la grande differenza fra il 2016 ed oggi: il ritorno dell’inflazione.

E alla fine Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali statunitensi. Una vittoria netta e – stando ai numeri sin qui elaborati – su tutti i fronti: Casa Bianca, Senato e Camera. I mercati finanziari, che nel loro piccolo si erano già da qualche tempo sbilanciati sull’esito favorevole al GOP della tornata elettorale, hanno reagito premiando gli asset che potrebbero trarre vantaggio dalla nuova amministrazione Trump, ma anche segnalando alla nuova maggioranza la presenza di due compagni di viaggio scomodi: i conti pubblici e l’inflazione.

Da un lato i listini azionari salgono sull’aspettativa di una tassazione ancora favorevole per almeno quattro anni. Allo stesso modo le criptovalute festeggiano, dati i ripetuti occhieggiamenti di Trump durante la campagna elettorale. Dall’altro lato il dollaro si apprezza ipotizzando un livello di tassi di interesse “higher for longer” se le promesse protezionistiche (dazi del 10% su ogni bene che tocca suolo statunitense e del 60% per quelli provenienti dalla Cina) verranno rispettate. In aggiunta i rendimenti dei titoli di stato statunitensi si impennano proprio su ipotesi di tassi più alti per contrastare livelli di inflazione più alti.

Tenere sotto controllo il debito pubblico di un paese che basa oltre il 70% della ricchezza prodotta sui consumi interni e che può contare sulla valuta di riferimento per gli scambi internazionali è sicuramente un po’ più semplice, ma la nuova amministrazione Trump dovrà comunque tenere in considerazione i segnali che stanno arrivando dal mercato obbligazionario e che ricordano la grande differenza fra il 2016 ed oggi: il ritorno dell’inflazione.

Dal 2016 ad oggi lo scenario macroeconomico è notevolmente cambiato. Da un mondo caratterizzato da tassi di interesse attorno allo zero ed inflazione anemica, si è passati ad uno nel quale il tasso neutrale sembra più vicino al 4% che al 2% e l’inflazione core continua a rimanere ben al di sopra del target delle banche centrali. Non è una differenza di poco conto, specie per chi ha vinto le elezioni puntando (molto) sullo stress da inflazione di una larghissima fetta di paese.

Foto di Barbara

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