Manca oramai poco più di un mese alle elezioni presidenziali negli USA. Il dibattito è come sempre acceso e i sondaggi si moltiplicano mentre i due candidati, Kamala Harris e Donald Trump, volano da una costa all’altra del paese per cercare di convincere gli ultimi indecisi.
Economisti e mercati finanziari osservano ed ascoltano con interesse le proposte, cercando anche di disegnare qualche scenario. Uno dei punti più interessanti è il rapporto tra USA e Cina. La memoria corre veloce alla guerra commerciale del 2018-2019 (presidente Trump) e poi, più di recente, alle decisioni dell’amministrazione Biden su quella che qualcuno ha definito la guerra dei chip. Cosa ci si può attendere dopo le elezioni del 5 novembre prossimo? Le posizioni dei due candidati sembrano divergenti nel metodo ma non nel merito. Sia Harris che Trump sostengono la necessità di proteggere gli interessi dell’economia statunitensi nei confronti della concorrenza cinese, ma se la prima tenta di sfumare i toni, parlando di de-risking e non di decoupling, Trump parla apertamente di nuovi dazi e soprattutto mette in discussione un accordo che dal 2000 ad oggi regola i rapporti commerciali tra i due giganti: il PNTR (permanent normal trade relations o most favored nation status).
Malgrado le relazioni tra USA e Cina siano divenute sempre più conflittuali, il PNTR non è mai stato messo seriamente in discussione. Adottato all’indomani dell’entrata della Cina nel WTO ha consentito una normalizzazione dei rapporti commerciali tra i due paesi, aumentato gli investimenti e spinto le esportazioni. Ma cosa significherebbe per l’economia statunitense revocarlo? A questa domanda ha cercato di rispondere il Peterson Institute for International Economics (PIIE) con uno studio curato da Megan Hogan, Warwick McKibbin e Marcus Noland.
Secondo i risultati di questa ricerca l’impatto della revoca del PNTR sarebbe particolarmente significativo nel breve periodo. Da un lato si registrerebbe un calo del PIL e dall’altro un aumento dei prezzi. Ad essere più colpiti sarebbero i settori più orientati all’export ed in particolare l’agricoltura, la manifattura (specialmente per quel che riguarda i beni durevoli) ed il settore estrattivo. In questi settori si registrerebbe un calo dell’occupazione che verrebbe compensato nel tempo da un aumento dei posti di lavoro nel settore servizi, ma al costo di livelli salariali più bassi.
Come ben si evince dai grafici che accompagnano il report del PIIE, l’effetto complessivo di questa “rottura” tenderebbe a riassorbirsi nel tempo ma non senza strascichi. Hogan e colleghi calcolano una mancata crescita cumulata da qui al 2040 di oltre 400 miliardi di dollari. Un’esclation nelle azioni di ritorsione tra i due paesi potrebbe amplificare ulteriormente gli effetti macroeconomici visti prima. Il risultato finale, inoltre, sarebbe quello di aumentare ulteriormente il deficit commerciale statunitense, esattamente il contrario rispetto agli intenti di chi propone la cancellazione del PNTR.
Ipotesi e discussioni che ci accompagneranno ancora per molte settimane e che i mercati finanziari non mancheranno di prezzare man mano che si avvicina il fatidico primo martedì di novembre.
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