Guerra dei chip, il nuovo capitolo

La mossa dell’amministrazione Biden di bloccare l’esportazione verso la Cina di chip per l’AI ed i super computer è l’inizio del nuovo capitolo della guerra economica tra le due super potenze.

Il 10 agosto scorso il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha firmato la cosiddetta “CHIPS and Science Act of 2022“. Una legge in forza della quale gli USA destineranno 280 miliardi di dollari a sostegno della ricerca tecnologica e delle grandi industrie nazionali di semiconduttori. Un investimento nell’America, lo ha definito Biden al momento della firma. Ma probabilmente si tratta anche dell’inizio del nuovo capitolo della guerra dei chip.

La legge prevede l’impegno di 52 miliardi di dollari per aiutare le industrie di semiconduttori americane ad ampliare gli impianti di produzione di chip esistenti sul suolo USA o a crearne di nuovi, ad investire in ricerca ed a formare i lavoratori sulle nuove tecnologie. In altre parole la volontà del governo statunitense è quella di tornare ad essere dominanti in un settore, quello dei chip, abbandonato troppo presto in nome della globalizzazione della catena del valore e che ora, complici le rinnovate tensioni internazionali, si sta rivelando cruciale per l’industria civile; ma che ha forti implicazioni anche sul fronte militare.

A poco più di due mesi da quella “storica” firma, l’amministrazione Biden ha messo sul tavolo una seconda carta. Per alcuni un asso, per altri una mossa gravida di conseguenze non del tutto prevedibili. Il 7 ottobre, infatti, alla Casa Bianca è stata apposta la firma su una serie di restrizioni all’export verso la Cina. Le industrie cinesi, in base a questo nuovo regolamento, non potranno acquistare da controparte americana chip e tecnologie destinate all’intelligenza artificiale ed ai super computer. Inoltre, non potranno assumere lavoratori statunitensi senza avere ottenuto una specifica licenza.

Da Pechino la reazione non si è fatta attendere, con il governo a parlare di rischi per la supply chain e per la crescita globale. Intanto le industrie statunitensi cominciano a prendere i primi provvedimenti. Come racconta l’agenzia Bloomberg, grandi fornitori come Applied Materials Inc., KLA Corp. e Lam Research Corp stanno ritirando le loro “delegazioni” di lavoratori dal colosso cinese dei chip Yangtze Memory Technologies Co.

Secondo molti analisti, la mossa della Casa Bianca è di gran lunga il colpo più pesante inferto alle ambizioni cinesi di diventare leader nell’intelligenza artificiale nel giro di un decennio, ben più pesante di tutte le tariffe imposte dall’amministrazione Trump e rivelatesi, nei fatti, poco più che leggeri schiaffi. Secondo altri questo blocco delle esportazioni “iper-tecnologiche” non farà altro che accelerare le mosse di Pechino sul dossier Taiwan, alimentando ulteriormente le tensioni nell’area (e non solo). Pochi giorni fa è stato il WTO a sottolineare i rischi “sottostimati” del decoupling USA-Cina, mentre ieri il primo ministro di Singapore ha sottolineato come la decisione dell’amministrazione Biden possa avere ampie conseguenze e condurre ad un mondo economicamente e politicamente più instabile.

La guerra dei chip è entrata in una nuova fase, con lo scontro diretto tra USA e Cina ad evidenziare come lo sviluppo ed il dominio sulle nuove tecnologie sia il vero campo di battaglia sul quale si decideranno i nuovi equilibri mondiali. Come è oramai solito alle nostre latitudini, rimane una domanda: e l’Europa?

Foto di Bruno /Germany

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