I carbon credits (i crediti del carbonio) rischiano di diventare una spina nel fianco per la decarbonizzazione del settore industriale. A lanciare l’allarme è il Science Based Targets initiative.
Partiamo da una definizione. I carbon credits sono certificati che rappresentano la riduzione di una tonnellata di emissioni di anidride carbonica (CO2) o altri gas serra. Funzionano come strumenti di mercato per incentivare la riduzione delle emissioni. Le aziende o i governi che emettono meno gas serra rispetto al limite loro imposto possono vendere i loro crediti in eccesso a chi supera tali limiti. Questo sistema crea un incentivo economico per ridurre le emissioni, promuovendo investimenti in tecnologie pulite e progetti di compensazione, come la riforestazione o l’energia rinnovabile. In questo modo, i carbon credits aiutano a combattere il cambiamento climatico.
Ed ecco la domanda, i crediti del carbonio aiutano davvero a combattere il cambiamento climatico? Il quesito non è di poco conto se si pensa che il valore di questo mercato è attualmente di 2 miliardi di dollari ma ha le potenzialità per arrivare a valere qualcosa come 1 trilione di dollari (fonte Bloomberg). I dubbi in merito all’efficacia di questo strumento si sono moltiplicati all’indomani del “fallimento” del progetto Kariba nelle Zimbabwe. Un piano ambizioni per contrastare la deforestazione che ha generato 100 milioni di dollari di carbon credit (23 milioni di tonnellate di CO2) e caduto in disgrazia pochi mesi fa.
A rigirare il dito nella piaga ci ha pensato in questi giorni il Science Based Targets initiative, vala dire l’organizzazione che nei fatti regola il mercato dei crediti del carbonio. Mettendo assieme i risultati di oltre 100 studi sull’argomento, il SBTi è giunto alla conclusione che molte versioni di carbon credits si stanno dimostrando inefficaci nel mitigare gli effetti delle emissioni inquinanti in atmosfera. Ancor peggio: l’utilizzo inappropriato di questi strumenti rischia addirittura di rallentare la decarbonizzazione nel settore industriale e di ridurre le risorse finanziarie destinate a tale scopo.
Nel report di SBTi si legge che “la maggior parte delle prove presentate (84%) sostiene che trattare i crediti di carbonio come intercambiabili con altre sistemi di riduzione di emissioni dannose sia sconsigliabile, illogico o dannoso per gli obiettivi globali di mitigazione”. Dichiarazioni pesanti che arrivano dopo mesi di turbolenze in seno all’organizzazione e che non saranno prive di conseguenze sul mercato dei crediti del carbonio.
E non è un caso se negli USA si stanno muovendo il Dipartimento del Tesoro e la US Commodity Futures Trading Commission per redigere delle linee guida per gli operatori del settore.
Foto di Adina Voicu