A volte ritornano: rischio stagflazione per gli USA?

L’economia USA rallenta ma lo fa in compagnia di un’inflazione che non sembra dare l’impressione di poter scendere in maniera veloce, così tra gli analisti si torna a parlare di stagflazione.

La scorsa settimana sono usciti i primi dati relativi all’andamento dell’economia statunitense nel primo trimestre del 2023. Si tratta di numeri molto interessanti e che raccontano una situazione sufficientemente complessa da far tornare in auge uno spauracchio che sembrava essersi defilato: la stagflazione.

Andiamo con ordine. Il PIL USA nel primo trimestre dell’anno è salito ad un tasso annualizzato dell’1.1%, una percentuale molto inferiore alle attese ed in calo rispetto ai trimestri precedenti. Sin qui si potrebbe semplicemente parlare di economia in rallentamento e che procede nel declivio verso una fase di recessione. Ma andando ad osservare più nel dettaglio i componenti del prodotto interno lordo le cose si complicano. Innanzitutto i consumi privati hanno fatto registrare un’accelerazione rispetto al trimestre precedente. Essendo un dato corretto per l’inflazione, quel +3.7% del periodo gennaio-marzo sembra indicarci che sul fronte della domanda interna la resilienza rimane forte (grazie a risparmi ancora corposi ed agli aumenti salariali) e questo allontanerebbe, per il momento, sia una fase recessiva sia un allentamento veloce della pressione sui prezzi.

L’altro dato interessante emerso dal report dello U.S. Bureau of Economic Analysis è relativo alle scorte ed agli investimenti. Queste voci sono le principali responsabili della frenata dell’economia statunitense nel primo trimestre e non sono certo casuali. Le imprese riducono gli investimenti a fronte di tassi di interesse in salita, mentre le aspettative di calo della domanda nei prossimi mesi fanno ridurre le scorte (il ciclo delle scorte tornato protagonista, come abbiamo già raccontato). I dati sono significativi: gli investimenti in macchinari da parte delle imprese sono scesi del 7.3% (sempre tasso annualizzato), il maggior declino dal 2020 ad oggi. La riduzione delle scorte ha contribuito in negativo alla crescita del PIL statunitense per oltre due punti percentuali.

In questa differente visione tra offerta e domanda a guadagnare sembrano essere solo i prezzi. L’indice PCE price, infatti, ha registrato nel primo trimestre del 2023 un aumento del 4.2% annualizzato, in accelerazione dal 3.9% del trimestre precedente.

Cosa significano tutti questi numeri? In estrema sintesi: in primo luogo che l’inflazione USA potrebbe continuare a rimanere elevata ancora per diverso tempo, anche in presenza di un’economia in rallentamento, situazione che potrebbe portare ad una fase di stagflazione, il peggiore dei mondi possibili a livello economico; in secondo luogo la FED rischia di ritrovarsi in un vicolo cieco, dibattendosi tra la necessità di nuovi rialzi dei tassi ed una stabilità finanziaria messa alla prova dalle criticità del sistema bancario.

Foto di Ralph

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