L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) lancia l’ennesimo allarme – una sorta di ultimatum – sul surriscaldamento globale e sulla necessità di agire in fretta. Le probabilità di evitare un aumento della temperatura sotto il grado e mezzo entro fine secolo, si assottigliano.
La frase che chiude la presentazione del pesante malloppo di pagine – 10mila – dell’ultimo aggiornamento del report curato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e che raccoglie cinque anni di ricerche, sembra molto più di un allarme ed ha il vago sapore di un ultimatum:
In short, our world needs climate action on all fronts — everything, everywhere, all at once
IPCC – 27/03/2023
Una frase che descrive un vero e proprio accerchiamento. Il pianeta ha bisogno di azioni coordinate in ogni settore ed ogni zona geografica per evitare il baratro. Il target più vicino in termini di tempo è quello fissato per il 2035, quando le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera dovrebbero essere riportate ad un valore pari al 60% del totale emesso nel 2019. Ma un altra data rappresenta un punto cruciale nella lotta al cambiamento climatico: il 2025. Entro quell’anno (ne mancano solo due) le emissioni di CO2 nell’atmosfera devono aver raggiunto il loro picco. Solo così, infatti, sarà possibile raggiungere – o sforare di poco – l’obbiettivo del contenimento del surriscaldamento globale entro gli 1,5°C.
Le conseguenze del surriscaldamento sono già ben evidenti oggi, ed oltre 3 miliardi di persone vivono in zone e condizioni che li rendono estremamente vulnerabili ad eventi climatici avversi. Le strategie di politica industriale delle grandi economie mondiali, però, non sembrano convergere verso un obiettivo comune. Si pensi solo alle emissioni dannose collegate alle infrastrutture di estrazione e lavorazione di materie prime energetiche di origine fossile. Sul punto il report dell’ONU è piuttosto chiaro: la riduzione programmata delle emissioni del settore non basta se ad essa non si affiancheranno progetti di eliminazione della CO2 nell’atmosfera.
Ma i due principali paesi inquinatori su questo fronte, USA e Cina, stanno ampliando queste infrastrutture. La Cina, racconta l’agenzia Bloomberg, ha approvato un numero di nuovi progetti di estrazione del carbone maggiore di tutti quelli approvati dagli altri paesi del mondo messi assieme. Negli USA ha recentemente visto la luce un nuovo progetto di trivellazione per l’estrazione di petrolio nello stato dell’Alaska e proprio ieri il congresso ha approvato il “Lower Energy Cost Act“, una serie di proposte per ridurre il costo dell’energia e che sottointendono un aumento della produzione di petrolio e gas. E non è di certo di buon auspicio il fatto che proprio in questi mesi gli USA siano diventati il primo paese fornitore di petrolio per l’Europa, sostituendo la Russia.
Foto di Jody Davis