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Silicon Valley Bank cosa?

La veloce dipartita di Silicon Valley Bank mette assieme tre punti critici dell’attuale situazione economico-finanziaria: difficoltà del venture capital, effetti della politica monetaria sui bilanci bancari e la crisi oggettiva del settore tecnologico.

Gli operatori di mercato lo scorso giovedì sera devono certamente aver strabuzzato gli occhi notando un titolo cadere di capitombolo perdendo il 60% in poche ore e trascinando giù l’indice benchmark del settore bancario statunitense di otto punti percentuali. Cos’era successo?

La risposta sta in un nome: SVB Financial Group, una società finanziaria che controlla (o meglio controllava) una piccola banca con sede in California, a Santa Clara e dal nome tanto evocativo quanto ai più sconosciuto, almeno fino a giovedì scorso: Silicon Valley Bank.

I fatti sono oramai noti. La banca – 212 miliardi di dollari di patrimonio, meno di un decimo di quello di JP Morgan – ha annunciato nella serata di giovedì scorso di voler raccogliere 2,25 miliardi di dollari sul mercato, necessari per tamponare gli effetti della vendita di 21 miliardi di dollari di titoli in portafoglio. Vendita che ha generato – visti i prezzi sul mercato obbligazionario – una perdita nel primo trimestre del 2023 di 1,8 miliardi di dollari. Numeri, enormi per una banca così piccola. E l’epilogo è stata la sua chiusura da parte dell’autorità di vigilanza della California, venerdì scorso.

A preoccupare di questa vicenda dai contorni ancora da chiarire è la causa che ha spinto SVB all’operazione di emergenza rivelatasi poi fatale: la richiesta di liquidità da parte dei clienti. E trattandosi di una banca piazzata nel bel mezzo della Silicol Valley, i clienti in questione sono soprattutto start-up tecnologiche. In larga parte società innovative, che traggono linfa sostanziosa dal venture capital, una forma di investimento che la corsa al rialzo dei tassi di interesse sta rendendo sempre meno sostenibile. Calo degli investimenti ed una maggior avversione al rischio sono alla base dell’aumento – oltre le possibilità della banca – di richieste di liquidi da parte dei clienti di SVB. I depositi sono così passati dai $189 miliardi alla fine del 2021 a $173bn alla fine del 2022.

Piccola banca, piccoli disagi si potrebbe dire (non del tutto visto il coinvolgimento di un fondo pensione svedese e della “sorella” inglese, ma staremo a vedere…). Ma questa storia mette assieme tre elementi che, visti assieme ed in un’ottica di medio termine, potrebbero rivelarsi un vero e proprio ago della bilancia per la stabilità finanziaria. Il primo elemento è il rialzo dei tassi e le sue implicazioni sugli investimenti; il secondo è l’esposizione alle perdite che una politica monetaria molto restrittiva comporta per il settore bancario; il terzo è lo stato di oggettiva difficoltà del settore tecnologico.

Secondo una ricerca di Partech Partners, nel 2022 i finanziamenti attraverso lo strumento del Venture Capital negli USA è sceso del 35% ( l’Economist ha parlato di VC winter per descrivere la frenata del settore). Mettere soldi in una società, specialmente in una società innovativa, è diventato in questi ultimi mesi operazione dall’esito incerto, da un lato, a causa del costo del denaro in salita e dall’altro per un ritorno dell’investimento che è lontano nel tempo ed in balia della congiuntura. Così non fa poi più di tanto scalpore il fatto che molti dei finanziatori delle start up clienti di SVB, all’annuncio della maxi perdita d’esercizio, si siano affrettati a consigliare loro di alleggerire i depositi accumulati nella banca, causando il successivo bank run (la fuga dagli sportelli).

Il livello dei tassi di interesse, inoltre, ha come conseguenza una forte riduzione del valore dei titoli in pancia alle banche. La regoletta è ben nota, ma la ripetiamo: se si alzano i tassi, si alzano i rendimenti dei titoli obbligazionari ed il loro prezzo scende. Una banca costretta in tempi rapidi a smobilitare fondi in uno scenario di questo genere rischia di andare incontro a robuste perdite. Questo significa che da un lato il sistema bancario è costretto ad adottare politiche di rischio ancor più conservative, stringendo i cordoni del credito, e dall’altro è esposto ad una maggior fragilità in caso di crisi.

Il settore tecnologico è il terzo elemento che merita attenzione. Il rialzo dei tassi lo sta penalizzando in borsa ma non solo. Dalla fine del 2021 ad oggi il NYSE FANG+ Index ha lasciato sul terreno 32 punti percentuali. Ma per capire il problema di redditività che attraversail settore basta dare uno sguardo ai tagli occupazionali: nel 2023 il 35% dei tagli di personale annunciati negli USA è di aziende del settore tecnologico. E se le cose non vanno bene per i big del settore, l’appeal delle start up innovative ne esce notevolmente ridimensionato. Senza dimenticare che la fragilità del tech vale globalmente 600 miliardi di dollari. A tanto, infatti, ammontava nel 2021 il totale dei capitali investiti nelle start up del settore.

Questi tre elementi sono tenuti assieme da un filo rosso che altro non è se non l’andamento dell’economia nei prossimi mesi. L’arrivo di una recessione “tosta” può essere la miccia in grado di far esplodere qualcosa di molto simile ad una crisi finanziaria. E del resto la triste dipartita di Silicon Valley Bank (a cui è seguita domenica quella della newyorkese Signature Bank), potrebbero essere indizio di una frenata in arrivo; le banche centrali rischiano di ritrovarsi con il cerino in mano.

FOTO: Coolcaesar, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons

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