I mali della frammentazione geopolitica

L’FMI ricorda come la frammentazione geopolitica rischi di creare un mondo più povero e pericoloso, ma ripristinare il multilateralismo non basta se non si curano le disuguaglianze economiche all’interno dei paesi.

Nei giorni scorsi il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato un appello contro quella che Kristalina Georgieva , Gita Gopinath e Ceyla Pazarbasioglu chiamano frammentazione geopolitica. Un mondo meno collaborativo, che riduce gli scambi commerciali alzando barriere e rende più difficile la libera circolazione di idee e tecnologie, è un mondo destinato a crescere meno, sostengono le autrici.

Ma se il multilateralismo politico ed economico è così vantaggioso perchè da qualche anno a questa parte sono cresciute le spinte protezionistiche? Solo dallo scoppio della guerra in Ucraina, ricorda il Fondo, trenta paesi hanno ripristinato barriere al commercio internazionale di beni alimentari, energia ed altre cruciali materie prime. Alzare barriere costa. Nel 2019 le “baruffe” tra USA e Cina sono costate un punto percentuale di PIL globale. Sempre secondo una ricerca dell’FMI la riduzione dello scambio di tecnologie, con la conseguente riduzione di innovazione e produttività, può contrarre la crescita di molti paesi, specie quelli in via di sviluppo, fino a 5 punti percentuali.

Ma allora perchè tutto questo protezionismo di ritorno? La spiegazione sembra essere molto poco internazionale e molto più nazionale. Il problema non sta tanto nell’apertura alle economie di altri paesi ma nella gestione dell’economia del proprio paese. Negli ultimi decenni, mentre l’economia globale, grazie a nuovi mercati, nuove tecnologie ed all’aumento degli scambi di beni e servizi, accelerava nella sua crescita, all’interno delle singole economie si andava creando – ed il fenomeno continua tutt’ora – un divario sempre più profondo tra le fasce di reddito della popolazione. Come abbiamo ricordato qualche setttimana fa, a fronte di una disuguaglianza di reddito globale in diminuzione, il nuovo secolo ha visto aumentare quella all’interno dei singoli paesi; processo riassumibile nella quasi sparizione della classe media (almeno in termini reddito).

Le disparità generano tensioni, le tensioni paure e le paure portano, nella quasi totalità dei casi, a chiudersi. Il Reported Social Unrest Index dell’FMI ci dice che dallo scoppio della pandemia le manifestazioni di protesta popolare sono tornate a crescere e la crisi alimentare di questi ultimi mesi non farà altro che alimentarne di nuove e di più severe. E le conseguenze economiche sono anche in questo caso importanti. Uno studio del Fondo sostiene che a 18 mesi dall’ultimo episodio di protesta la crescita di un paese si riduce fino ad un punto percentuale.

Georgieva e le sue colleghe sostengono che se non ci si vuole rassegnare ad un mondo più povero e pericoloso occorre rimettere in funzione la macchina della collaborazione internazionale. Ma per farlo occorre prima riprendere finalmente in mano il problema delle disuguaglianze economiche all’interno dei singoli paesi, l’elemento fondamentale per togliere carburante ai focolai che si vanno accendendo sempre più spesso.

Illustrazione di Bela Geletneky

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