Ancora la Cina. Ad oltre due anni di distanza dalle prime scioccanti immagini che arrivavano da Wuhan si torna a parlare di lockdown su larga scala e delle sue inevitabili conseguenze per l’economia mondiale.
Il racconto ufficiale parla della volontà ferrea da parte di Pechino di portare avanti una politica di eradicazione del virus dal suolo cinese. Una strategia “Zero-Covid” che prevede l’adozione di severissime misure di contenimento per spegnere sul nascere nuovi focolai di contagio. L’alta trasmissibilità della variante Omicron rende questa strategia altamente pericolosa per la tenuta dell’economia cinese, dovendo mettere in conto vasti lockdown, capaci di tenere sotto scacco le zone più produttive del paese. Secondo il PIIE le restrizioni alla circolazione e le altre limitazioni stanno interessando un’area che produce circa il 40% del PIL cinese. I dati elaborati da SpaceKnow (fonte Bloomberg) ci segnalano che le attività portuali cinesi sono tornate ai livelli toccati nel corso del primo lockdown, quello di febbraio 2020.
Quanto sta succedendo a Shanghai è emblematico. La città, 26 milioni di abitanti in lockdown dal 28 marzo scorso, ospita il porto commerciale più grande del mondo e rappresenta uno dei centri finanziari più importanti del paese. Dai moli vicini alla baia di Hangzhou partono al momento 100 mila containers al giorno, 40 mila in meno della media. Secondo i primi calcoli il 30% delle merce pronta per la spedizione dalla Cina verso il resto del mondo rimane ferma. E le conseguenze, oltre ai costi di spedizione già in aumento, si faranno presto sentire ad occidente. Un mese o poco più e la mancanza di rifornimenti dalla Cina ritornerà a mettere sotto scacco interi settori produttivi in Europa e USA, gli stessi che tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 segnalarono l’arrivo dello shock dell’offerta pre-pandemia. Le prime avvisaglie arrivano dalla Germania, con la BMW che in settimana chiuderà lo stabilimento di Regensburg per mancanza di componenti (fonte Ansa). E scarsità significa ulteriore aumento dei costi e quindi possibile, probabile, nuova inflazione da qui ad inizio estate.
Ma naturalmente la prima a soffrire dello scenario venuto a delinearsi sarà la Cina stessa. I sondaggi PMI di marzo parlano già apertamente di un ritorno in zona contrazione, con il rischio – sottolineato recentemente da Alicia Garcia Herrero di Natixis che questa nuova fase di congelamento chiuda Pechino al mondo per altro tempo, riducendone l’appeal per gli investitori internazionali.
Foto di leonidrad