In tempi di coronavirus, il principale obiettivo delle banche centrali è quello di garantire che il sistema economico non resti a secco di liquidità.
Quando, nell’ormai famosa conferenza stampa del 12 marzo scorso, la governatrice della BCE ribattè malamente ad una domanda, dicendo che la banca centrale non era lì per chiudere gli spread, molto probabilmente si riferiva al fatto che , in quelle ore, l’emergenza era un’altra: iniettare liquidità nel sistema.
Liquidità è un altro dei concetti chiave di questa crisi scatenata dalla pandemia di covid-19. Il coronavirus, ad oggi contrastabile solo con il distanziamento sociale, ha generato un’ondata di lockdown, di chiusure, che dalla Cina si è espansa verso l’occidente. Prima l’Italia, poi via via gli altri paesi dell’Europa, poi gli USA (seppur a macchia di leopardo).
Il congelamento delle attività produttive significa per le imprese rimanere con il cerino in mano. Da un lato i ricavi crollano, arrivando ad azzerarsi in alcuni casi; dall’altro lato rimangono intatte le obbligazioni: salari, oneri finanziari, spese di mantenimento degli impianti. Per evitare che il cerino bruciacchi le dita, le aziende reagiscono. In primis si da fondo alla cassa, poi si ricorre al denaro di terzi. Con un mercato isterico l’opzione obbligazionaria non è percorribile e quindi l’unico interlocutore a cui chiedere denaro rimane la banca, raschiando tutte le risorse presenti nelle linee di credito attive o chiedendone di nuove.
Questa “corsa” al finanziamento mette sotto stress gli istituti bancari. Per non fa sballare i propri parametri di rischio, le banche cercano di reperire liquidità di emergenza per far fronte alle richieste. Il primo “mercato” a cui rivolgersi è quello interbancario ma, in situazioni del genere, ogni istituto tenderà a tenersi stretta la propria “riserva di banconote”. Senza alcun intervento della banca centrale, la scarsità di liquidità fa schizzare i tassi interbancari e, una volta finite le riserve, il sistema entra in crisi.
L’intervento dell’autorità monetaria permette di garantire alle banche la possibilità di reperire soldi freschi, che possono essere poi girati alle aziende che ne fanno richiesta, evitando che vadano gambe all’aria. Gli strumenti a disposizione delle banche centrali per garantire liquidità al sistema sono molteplici: dal prestito diretto di denaro attraverso i repo, all’acquisto di titoli di stato e corporate che le banche possono vendere all’istituto centrale per trasformarli in liquidità.
La crisi scatenata dal coronavirus ha aggiunto una caratteristica particolare alla spasmodica ricerca di liquidità a cui stiamo assistendo: la caccia al dollaro statunitense.
Il dollar index, un indice che valuta la “forza” della valuta americana rispetto ad un paniere di valute internazionali è ai suoi massimi storici. Da inizio anno ad oggi si è assistito ad un progressivo rafforzamento del dollaro rispetto alle valute delle economie emergenti ma non solo: l’euro ha ritoccato minimi che non vedeva dal 2002, minimi storici anche per la corona norvegese; addirittura altre valute considerate “lidi sicuri” come yen e franco svizzero si sono notevolmente indebolite rispetto al biglietto verde. Perchè? Se da un lato c’è un movimento di mercato, con gli investitori che ritengono, per il momento, l’economia americana quella con maggiori possibilità di rapido recupero rispetto alla crisi, dall’altro lato c’è un aspetto legato ancora una volta alla liquidità delle aziende.
Nel momento in cui la catena di distribuzione si interrompe, si interrompono anche gli scambi di denaro (in entrata ed in uscita) e molto spesso questi vengono regolati in dollari. Questo è piuttosto evidente nei paesi asiatici ma il problema colpisce anche multinazionali con stabilimenti produttivi nelle zone colpite dall’economia. I soggetti coinvolti, di fronte alla sete di liquidità – e di dollari in particolare – si rivolgono alle banche che, in qualche maniera, devono reperirli. Per evitare un super-apprezzamento della moneta americana, dovuto all’aumento esponenziale della domanda, la FED ha riattivato il canale degli swap, strumento ideato nel 1962, con un gruppo di banche centrali, tra cui BCE e BoJ. Con questo strumento, in parole semplici, la FED prende a prestito un determinato quantitativo di moneta in valuta estera e, contemporaneamente, presta dollari alla banca centrale controparte dell’operazione. In questo modo le banche centrali possono fornire liquidità in dollari agli istituti bancari che ne fanno richiesta ed i biglietti verdi possono infine arrivare alle aziende.
Un complesso sistema di “idratazione” monetaria che è fondamentale per manterene in vita l’economia globale, preservandola dai danni della pandemia e mettendola nelle condizioni di poter ripartire una volta che tutto sarà sotto controllo. Certo, tutto questo giro di prestiti ha effetti collaterali evidenti ma per ora non esistono alternative.
Foto di Katja Just