Difendere l’industria nazionale e ottenere una bilancia commerciale in attivo. Sono due dei capisaldi del programma politico di Trump, ma sono anche due dei principi di quella politica economica passata alla storia come “mercantilismo”. Ma quali sono le somiglianze e le differenze tra l’indirizzo economico della nuova amministrazione statunitense e quello che raggiunse il suo apice nell’Inghilterra di O. Cromwell e nella Francia di J.-B. Colbert?
Facciamo un passo indietro. Cos’è il mercantilismo? Si tratta di una teoria economica le cui origini si possono far risalire all’epoca dei Comuni medievali e che è poi diventata dominante in Europa tra il XVI e il XVIII secolo. Il principio base di questa teoria era che la ricchezza di una nazione dipendesse dall’accumulo di oro e argento, favorendo un saldo commerciale positivo (più esportazioni che importazioni). Gli Stati adottavano politiche protezionistiche, come dazi e monopoli, per rafforzare l’economia nazionale. Il governo interveniva fortemente nell’economia, sostenendo industrie strategiche e colonizzando territori per ottenere materie prime.
Nel corso del tempo il focus passò dall’accumulo di oro, allo sviluppo delle industrie nazionali e alla loro protezione dalla concorrenza estera. È l’idea alla base delle politiche della Francia di Colbert: la creazione delle grandi compagnie commerciali, l’incremento della marina mercantile, la politica coloniale, politiche demografiche indirizzate a favorire l’aumento della popolazione, la formazione e il rafforzamento di un unico mercato nazionale, una stretta disciplina della produzione, la concessione a privati di esenzioni fiscali, privilegi e monopoli ed la creazione di industrie di Stato.
Questa teoria economica ha caratterizzato il periodo delle grandi monarchie assolute ed è entrata in crisi con l’avvento delle idee liberiste incarnate dal pensiero di Adam Smith. Caratteristiche tipiche del mercantilismo sono però riaffiorate nell’economia mondiale tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, in quello che è stato ribattezzato neomercantilismo e che, mutatis mutandis, sembra essere l’idea ispiratrice del pensiero di Trump.
Trump fa spesso riferimento ad una “nuova età dell’oro” per gli Stati Uniti. Il riferimento sembra essere a quel periodo della storia statunitense, tra il 1870 e il 1900, che gli economisti definirono “The Gilded Age”, titolo di un racconto di Mark Twain, e che caratterizzò anche la presidenza di William McKinley. (il presidente a cui Trump vorrebbe intitolare la vetta più alta del Nord America, il Denali ). Un periodo di forte crescita economica, ma anche di tante contraddizioni, scandali e di crescente disuguaglianza sociale. Sotto la presidenza Grant furono imposte alte tariffe doganali per proteggere l’industria americana dalla concorrenza europea. Fu garantito un enorme sostegno all’industria nazionale, con lo sviluppo delle ferrovie e delle grandi industrie con sussidi e concessioni terriere. Si cercò di espandere il commercio statunitense verso i mercati dell’America Latina e dell’Asia. La presidenza di McKinley, a colpi di dazi e di stabilità monetaria (il gold standard che Trump non sembra disprezzare), risollevò l’economia statunitense dalla crisi di panico del 1893.
Il mercantilismo è stato superato perché il libero mercato si è rivelato più efficace nel favorire crescita economica, innovazione e benessere diffuso. Tuttavia, alcune sue idee (protezionismo, intervento statale) riemergono ciclicamente nella politica economica moderna. La globalizzazione incontrollata e non governata di questo inizio secolo, esasperazione del libero mercato o suo tradimento, è tra le principali cause del riaffiorare delle idee neomercantilistiche, in particolare del concetto di protezione dell’economia nazionale che è riassunto in quel “Make America Great Again” di Trump.
Tempi e contesto sono ovviamente molto cambiati ed il parallelo tra il mercantilismo e il “MAGA” di Trump deve considerarsi limitato alla sola politica dei dazi. Le grandi imprese operano globalmente e spesso hanno interessi diversi da quelli nazionali e non sembra essere all’ordine del giorno un forte controllo statale sull’economia. Il mercantilismo, inoltre, non considerava l’importanza del consumo interno, mentre l’economia statunitense dipende fortemente dai consumi.
Tante differenze, in conclusione, ma un’indubbia somiglianza: l’impostazione “muscolare” dei rapporti internazionali e le crescenti tensioni tra nazioni. Il già citato 25° presidente degli Stati Uniti, McKinley, è rimasto alla storia anche per la sua vittoria nel conflitto con la Spagna (1898) che portò in dote le Filippine, Guam, Porto Rico, e per l’adesione agli USA delle isole Hawaii.
Foto di Emilien