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Trump vs Powell, il confronto (quasi) inevitabile

In molti sono pronti a scommettere che il confronto tra la FED di J Powell e l’amministrazione Trump sarà una delle principali “attrazioni” del 2025; e lo scontro potrebbe diventare inevitabile.

“No. No.” Queste sono le stringate risposte di J Powell, il governatore della FED, ai giornalisti che il 7 novembre scorso gli chiedevano se si sarebbe fatto da parte nel caso in cui il neo eletto presidente Donald Trump glielo avesse chiesto.

Ad una settimana di distanza il nostro ha piazzato lì una serie di dichiarazioni che hanno avuto come effetto quello di mettere in pausa l’euforico rialzo di borsa e criptovalute nel post election day. Nel corso di un intervento in quel di Dallas, Powell ha detto che il buon stato di salute dell’economia statunitense consente alla banca centrale di meditare con calma ogni ulteriore mossa di politica monetaria. Aggiungendo che l’inflazione proseguirà sulla strada verso il 2% ma con qualche sobbalzo. I mercati hanno reagito ricalibrando le aspettative sulla riunione di dicembre e prezzando con più decisione l’ipotesi di una pausa. Il risultato è stato uno stop al rally post elettorale con l’allegra carovana delle criptovalute al seguito.

Mentre si attende il nome del futuro segretario al Tesoro, dal quartier generale del 47° presidente degli USA non sono arrivate al momento particolari riflessioni sull’attuale livello dei tassi di interesse o sulle dichiarazioni di Powell. Ma in molti sono pronti a scommettere che il confronto tra l’Eccles Building e la Casa Bianca sarà una delle principali “attrazioni” del 2025; e lo scontro potrebbe diventare inevitabile.

Come detto in precedenza, la grande differenza tra la prima amministrazione Trump e quella che inizierà il 20 gennaio prossimo sta nello scenario macroeconomico di partenza: inflazione anemica e tassi bassi nel 2016; inflazione persistenze e tasso neutrale attorno al 3% nel 2024. Nelle intenzioni il piano economico del partito repubblicano rischia di far surriscaldare i prezzi, agendo su tre leve: detassazione che (sovra)stimola i consumi, dazi che aumentano i costi dei beni importati, riduzione della forza lavoro che può generare nuove pressioni sui salari.

Powell si è soffermato soprattutto sulla questione relativa ai dazi. A complicare il quadro, sostiene il governatore, sarebbe la reazione dei partner commerciali degli Stati Uniti con un effetto negativo sulla crescita che potrebbe annullare la spinta derivante da una politica fiscale espansiva.

Se è vero che la banca centrale non agisce basandosi sulle intenzioni del governo, è anche vero che questa reagisce se i dati che arrivano dall’economia reale mettono a rischio il rispetto del suo principale mandato: il controllo sui prezzi. Ed è ipotizzabile che di fronte a un impianto di politica economica che non rende quanto si vorrebbe, gli strali si concentrerebbero su chi ha il potere di regolare la liquidità nel sistema.

Foto da Flickr

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