Inflazione e politica monetaria rimangono al centro del dibattito economico anche in questi ultimi giorni del 2022. E non potrebbe essere altrimenti, perchè da questi due elementi dipende gran parte del destino dell’anno che verrà.
Al netto di cigni neri ed imprevisti, infatti, l’andamento dei prezzi e le scelte sui tassi di interesse da parte delle banche centrali influiranno sulle prospettive di crescita globali e sull’andamento dei mercati finanziari. Ma giunti a questo punto dell’anno cosa possiamo mettere tra i punti fermi e cosa invece continua a sfuggirci?
L’ultima raffica di dati macro del 2022 qualche indizio ha cominciato a darcelo. La decisione di rialzare ancora una volta i tassi da parte delle principali banche centrali e le comunicazioni dei governatori hanno suggerito ulteriori chiavi di lettura per una situazione che rimane molto complicata.
Il punto fondamentale sembra essere soprattutto uno: mercati finanziari e banche centrali non la stanno pensano alla stessa maniera. A voler essere più cattivi si potrebbe arrivare persino a dire che gli investitori non sembrano credere del tutto alle parole scandite dai governatori.
La versione portata avanti dagli istituti centrali è la seguente: l’inflazione da segnali di rallentamento ma non sono così convincenti dà farci cambiare idea sulle prossime mosse. Quindi ancora rialzi nei prossimi mesi e necessità di mantenere a lungo i tassi sopra il livello di neutralità per “sgonfiare” l’inflazione accumulata in quest’ultimo anno abbondante.
I mercati la vedono in maniera differente, come abbiamo detto. Il ragionamento è più o meno questo: l’inflazione ha raggiunto il suo picco e se ne sta tornando sui suoi livelli (magari un po’ più alti di prima ma senza dubbio sopportabili). Le banche centrali hanno svolto il loro compito ed anzi forse hanno pure esagerato con i rialzi e presto se ne accorgeranno. Questo significa fine dei rialzi. E visto che nel frattempo i dati macro iniziano a mandare segnali di sofferenza, da una politica monetaria restrittiva si passerà velocemente ad una politica monetaria espansiva. E se tutto va per il verso giusto, non dovremo nemmeno sorbirci una recessione troppo pesante, forse un paio di trimestri e via, di nuovo crescita.
Le due versioni della storia su inflazione e politica monetaria si confrontano quotidianamente e lo si vede in maniera plastica dall’andamento dei listini azionari e dei rendimenti dei titoli governativi. Se si guarda al mercato dei future, concentrandosi sul caso USA, il valore implicito dei tassi di interesse a fine 2024 è attorno al 2% ed il picco si colloca attorno ai mesi estivi del 2023. Per gli amanti delle statistiche una dinamica di questo tipo sul fronte dei tassi, un taglio di oltre due punti in 18 mesi, si associa spesso ad una recessione.
La storia della temporaneità dell’inflazione ha certamente ammaccato la credibilità delle banche centrali ed i mercati ora sembrano implicitamente dire ai governatori che rischiano di prendere un’altra cantonata e che proseguendo troppo sul rialzo otterranno si la vittoria sull’inflazione ma al costo di una fase recessiva pesante.
Foto di David Vives