Mondiale in Qatar, non un caso isolato

Domenica scorsa, con la partita inaugurale tra Qatar ed Equador, ha preso il via una delle più insolite coppe del mondo di calcio. Insolita per la collocazione temporale, nel tardo autunno boreale ed insolita anche per la scelta del paese ospitante, il Qatar appunto, la cui tradizione calcistica è oggettivamente trascurabile e la situazione in materia di diritti civili fonte di accese polemiche.

Ma la scelta di organizzare eventi sportivi di livello mondiale in paesi caratterizzati da regimi politici di stampo autocratico non è così insolita come sembra. E la conferma ci arriva da un lavoro condotto da tre ricercatori, Adam Scharpf, Christian Glaessel e Pearce Edwards. Lavoro pubblicato dalla prestigiosa rivista American Political Science Review. Analizzando i dati relativi ai mondiali di calcio dal 1978 (nell’Argentina sotto la dittatura dei colonnelli) ad oggi i ricercatori notano due tendenze. Fino a 30 anni fa, infatti, la maggior parte degli eventi era organizzata in paesi caratterizzati da regimi democratici. Nel periodo 1989-2012 la quota di eventi ospitati in paesi autocratici era scesa al 15%. Da quel momento in poi c’è stato un progressivo cambiamento di scenario, con quella percentuale arrivata a toccare il 37% (in pratica un evento su tre viene ospitato da paesi con regimi poco avezzi alla democrazia).

Le motivazioni, stando agli autori, sono diverse ma una emerge su tutte: la scarsa profittabilità di questi eventi che spesso finiscono con bilanci in rosso profondo e infrastrutture abbandonate a se stesse. In questo senso le democrazie, che devono rendere conto ai contribuenti di come spendono i soldi pubblici (almeno in teoria) sono disincentivate dall’assumersi l’onere di organizzare eventi così esosi. Le autocrazie, invece, non si lasciano frenare da questi scrupoli ed anzi, vedono in queste manifestazioni l’occasione per mostrare al mondo la loro capacità organizzativa ed il loro potere.

Qualcuno potrebbe dire che l’aprirsi ad eventi così importanti e di portata mondiale può rappresentare anche un’opportunità di cambiamento per il paese ospitante. Purtroppo i dati raccontano una storia diversa. Secondo lo studio la repressione del dissenso aumenta in maniera sensibile nei due anni che precedono l’evento, come sostengono le denunce di Human Right Watch per le olimpiadi svolte in Cina nel 2008 o le storie di “allontanamento” dai luoghi mediaticamente più esposti dei lavoratori in Qatar.

La grande sfida dei prossimi decenni, come suggerisce l’Economist riportando i dati di questo studio, starà nel rendere sostenibili (anche economicamente) le grandi manifestazioni sportive.

Foto di Gerhard

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