Blue ammonia, l’alternativa al metano con qualche punto di domanda

Alla disperata ricerca di alternative al gas metano e muovendo i primi passi verso la transizione energetica, l’Europa punta anche sulla blue ammonia. Ma sull’ammoniaca blu pesano alcuni punti di domanda.

Nel maggio del 2021 la Abu Dhabi National Oil Company ha annunciato la costruzione di un mega impianto per la produzione di blue ammonia. Prima dell’inizio della guerra in Ucraina, Russia e Giappone avevano avviato un progetto congiunto per trasportare la blue ammonia prodotta in Siberia e destinarla a diventare combustibile per le centrali elettriche a carbone giapponesi. Pochi giorni fa, il 10 settembre, nel porto di Amburgo è giunta una nave proveniente dagli Emirati Arabi con il primo carico di blue ammonia destinato ad Aurubis AG, il più grande produttore continentale di rame.

Una piccola carrellata di eventi che hanno lo stesso filo conduttore: la blue ammonia. Ma di cosa stiamo parlando? L’ammoniaca, per tradurla in italiano, è il risultato di una reazione chimica tra idrogeno e azoto e viene definita blu quando la C02 generata dal processo di produzione viene catturata e non rilasciata nell’atmosfera. Al pari dell’idrogeno, quando viene utilizzata come combustibilie, non rilascia emissioni dannose e può quindi essere considerata una valida alternativa al gas ed agli altri combistibili fossili.

L’interesse per la blue ammonia è cresciuto in maniera significativa negli ultimi mesi, anche e soprattutto per effetto della crisi del gas in Europa e dei costi ancora molto elevati per la produzione di idrogeno green, considerato da molti come la vera alternativa al metano nei prossimi decenni. Stando ai dati di BloombergNEF un kilogrammo di idrogeno costa attualmente 2,83 dollari, mentre la stessa quantità di ammoniaca blu viene pagata 60 centesimi.

Non è un caso se i grandi paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente hanno iniziato a muoversi su questo campo che, dati 2020, può già contare su un volume di affari globale da oltre 70 miliardi di dollari e destinato verosimilmente a salire nei prossimi decenni, ma non senza qualche ostacolo da superare.

Il nodo per quel che riguarda l’ammoniaca blu sta tutto nei meccanismi attraverso i quali l’anidride carbonica derivante dal processo produttivo viene gestita. Abbiamo detto che questa viene catturata, ma dopo? Stando a quanto si legge relativamente agli impianti produttivi sauditi (ma risultava anche nel progetto Russia-Giappone) il gas viene trasportato nei giacimenti petroliferi più complicati da raggiungere e qui iniettato per estrarre il greggio. Non propriamente una procedura capace di ridurre le emissioni, verrebbe da pensare.

Proprio per questo motivo il legislatore sta cominciano a valutare la situazione, ponendo dei paletti sulla quantità di CO2 catturata che è possibile in qualche maniera “svincolare”, ad esempio per utilizzarla nell’estrazione di petrolio. La Commissione Europea, ad esempio, starebbe pensando ad un limite massimo del 30% dell’anidride carbonica catturata, il resto dovrebbe quindi essere stoccato sine die. Questi futuri interventi legislativi, anche se resi meno severi dalla contingente crisi energetica, non mancheranno di avere conseguenze sui prezzi.

Foto di Garry Chapple

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