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Per lo S&P500 bottom già raggiunto? C’è chi lo pensa, ma…

Per lo strategist Ed Yardeni lo S&P500 avrebbe già raggiunto e superato il bottom, il punto più basso della discesa, ma le statistiche dicono altro.

Ed Yardeni non ha di certo bisogno di presentazioni. Il “papà” del Fed Model è sicuramente tra gli strategist più apprezzati e seguiti. E proprio per questo non è passata inosservata la sua intervista a Bloomberg TV nella quale ha parlato, tra le altre cose, anche dell’andamento dello S&P500. Per Yardeni il principale indice azionario statunitense avrebbe già raggiunto e superato il suo punto di bottom. Dopo un profondo ribasso, alimentato dalle mosse della FED, culminato nel superamento della soglia del 20% di perdita dal massimo precedente, vale a dire dopo l’entrata in una fase di mercato orso, lo S&P500 ha fatto registrare un progresso dell’8% da metà giugno ad oggi. Un recupero che trova le sue motivazioni nel calo dei prezzi delle materie prime e nel rallentamento della crescita economica, due elementi che verosimilmente potrebbero significare picco dell’inflazione oramai raggiunto e vita breve per la stretta monetaria della FED.

Per Yardeni l’idea che il bottom dello S&P500 sia già stato raggiunto è rafforzata dalla reazione dei mercati all’andamento della stagione di trimestrali (ne parleremo a breve) che, tutto sommato, non sta producendo strattoni importanti sulle quotazioni. A questo, aggiunge Yardeni, occorre sommare la capacità di resistenza di imprese e consumatori. Mettendo tutto assieme, per Yardeni siamo probabilmente di fronte ad una flessione di metà ciclo più che ad una severa recessione.

L’idea di Yardeni è sicuramente interessante ma secondo alcuni i tempi non sarebbero ancora maturi per dichiarare finita la fase di ribasso del listino newyorkese. Una ricerca condotta da Vickie Chang di Goldman Sachs ci ricorda, ad esempio, che dal 1950 ad oggi lo S&P500 ha registrato fasi di ribasso da oltre il 15% in 17 occasioni e solo 6 volte ne è uscito prima che la FED avesse iniziato a tagliare i tassi di interesse. Un’altra ricerca di Deutsche Bank, inoltre, ci ricorda che le recessioni non sono certo facilmente digerite dal mercato azionario. Dal 1946 ad oggi lo S&P500 ha registrato una perdita media del 24% durante le fasi recessive dell’economia USA, con un minimo poco sotto il 20%.

E si ritorna ancora la punto di partenza. Posto che l’inflazione possa a breve toccare il suo massimo ed imboccare la discesa, quali saranno le conseguenze sull’economia? In altri termini sarà recessione? E con quale intensità? Per Yardeni – che da per quasi certa la recessione tecnica USA – sarà un episodio a bassa intensità, ma c’è chi vede scenari ben più complicati. E’ il caso di Nouriel Roubini che puntando il dito soprattutto sulla situazione del debito e sulla sua iterazione con bassa crescita, inflazione e tassi in salita, vede all’orizzonte per l’economia statunitense una recessione lunga e particolarmente severa.

Come al solite tante opinioni e molto diverse tra loro.

Foto di TheInvestorPost

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