Prezzo del petrolio, un mix di ingredienti da montagne russe

Decisioni dell’OPEC+, una ripresa economica che accelera e le tensioni geopolitiche in medioriente. Il mix perfetto per un periodo di volatilità sul prezzo del petrolio.

Di questi giorni, poco meno di un anno fa, le quotazioni del petrolio subivano uno dei crolli più pesanti mai registrati, con il prezzo di alcuni contratti finito addirittura in negativo. La pandemia colpiva duro, si moltiplicavano i lockdown in giro per il mondo e la richiesta di petrolio toccava i minimi.

A guardare l’andamento del greggio in questi giorni sembra di parlare di un’altra era. Il WTI quota attorno ai 67 dollari con un aumento dal gennaio ad oggi di 20 dollari al barile. Cos’è successo in questi ultimi mesi?

Innanzitutto l’economia mondiale, dopo il lockdown, si è rimessa in moto e di conseguenza la richiesta di petrolio ha cominciato a ravvivarsi. Nello stesso periodo, però, i paesi produttori sono corsi ai ripari con massicci tagli alla produzione. Più domanda da un lato e minor offerta dall’altro si sono trasformate in un rialzo, rapido, dei prezzi. Nelle ultime ore, infine, la notizia di un tentato attacco yemenita al deposito di Ras Tanura in Arabia Saudita ha spinto il Brent oltre i 70 dollari.

La notizia dell’ultima ora porta in secondo piano quella che fino a sabato era la vera novità degli ultimi giorni, vale a dire il cambio di strategia da parte dell’OPEC+. Pur di fronte alla maggior richiesta di greggio, infatti, il cartello dei paesi produttori ha deciso di non modificare l’attuale volume di barili estratti (salvo piccoli aggiustamenti per Russia e Kazakistan). Un cambio di strategia netto, visto che la politica dei prezzi alti era stata abbandonata ancora nel lontano 2014 con l’intenzione di “far fuori” dal mercato i produttori di petrolio da scisto (shale oil). Una mossa, quella, che negli anni non ha raggiunto grossi risultati, visto che gli USA (patria dello shale oil) sono rapidamente diventati un paese esportatore e le vicissitudini del quadrante mediorientale hanno cessato – fino ad oggi – di suscitare ondate di volatilità sul prezzo del greggio.

Ma la pandemia ha cambiato le carte in tavola. I produttori americani, con i prezzi ben al di sotto del costo di estrazione, hanno cominciato ad annaspare, mentre i bassi costi di estrazione dei paesi OPEC+ hanno consentito a quest’ultimi di attendere il passaggio della bufera. A ben guardare sembrava che tenere i prezzi bassi cominciasse a dare i suoi frutti.

La decisione di non tornare ad aumentare la produzione, presa dal cartello nei giorni scorsi, sotto la spinta dell’Arabia Saudita, apre nuovi scenari per il prezzo del petrolio. La direzione, però, non è scontata, almeno per tre motivi.

Il primo riguarda proprio i produttori statunitensi. Secondo i più critici la mossa dell’OPEC+ rischia di rimettere al centro della scena gli USA e lo shale oil. Forse non già da quest’anno – dicono gli analisti – ma dal 2022 il petrolio sul mercato potrebbe essere molto più di quanto i prezzi attuali scontino. Si tratterebbe quindi di una spinta al ribasso.

Il secondo motivo per il quale la direzione che assumerà il prezzo del petrolio non è scontata riguarda la dinamica della domanda. Tutte le principali previsioni la danno in crescita, e sostenuta, a partire dalla seconda metà del 2021. Se è vero che l’energia fossile è destinata a morire entro il 2050, ciò non toglie che il suo utilizzo sarà ancora molto elevato per almeno un decennio.

La decisione dell’OPEC+ è di quelle che richiedono compattezza e perseveranza. Non proprio elementi stabilmente presenti nelle relazioni tra i paesi appartenenti al cartello del greggio. Proprio la compattezza nelle posizioni è il terzo motivo per cui, ad oggi, è assai arduo indicare una direzione precisa dei prezzi del petrolio.

Le tensioni geopolitiche rimangono poi sullo sfondo con Iran e Arabia Saudita a muso duro ed un’economia che, come detto, dipende ancora – e tanto – dal petrolio.

Il prezzo del petrolio rischia di diventare una variabile impazzita sullo scacchiere economico mondiale, con il suo “carico inflattivo” – nell’ipotesi peggiore – capace di tagliare le gambe alla politica accomodante delle banche centrali.

Foto di David Mark

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