Ridurre le disuguaglianze nel dopo pandemia è un investimento

In questi mesi i governi sono impegnati in una difficile doppia sfida. Da un lato la gestione dell’emergenza sanitaria in atto, dall’altro lato la necessità di programmare la ricostruzione del dopo pandemia, una ricostruzione che non può non passare anche dall’affrontare il tema delle disuguaglianze.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare come tra i punti fondamentali di un piano di ricostruzione non dovrebbe mancarne uno dedicato alla riduzione delle disuguaglianze, in particolare quelle economiche. Un capitolo che non è soltanto eticamente giusto ma che potrebbe risultare economicamente vincente nel medio e lungo periodo. La riduzione delle disparità sociali – chiamiamole così per brevità – potrebbero, al pari dell’innovazione tecnologica e dell’educazione, liberare risorse ed aumentare la capacità di crescita di un paese.

Un recente paper del Fondo Monetario Internazionale prova a guardare alla storia. In “A Vicious Cycle: How Pandemics Lead to Economic Despair and Social Unrest“, Tahsin Saadi Sedik e Rui Xu hanno analizzato le conseguenze delle pandemie del passato sulla crescita economica, sulla disuguaglianza e sull’insorgenza di rivolte sociali.

Lo studio, condotto sulle principali pandemie scoppiate dal 2001 al 2018 in 133 paesi nel mondo (tra cui SARS, MERS, Ebola e Zika), mostra come all’indomani di ogni “sfogo” pandemico siano aumentate le proteste e le rivolte sociali, motivate dalla crisi economica e dall’aumento delle disuguaglianze. Inoltre, la maggior frequenza di queste tensioni porta a sua volta a livelli più bassi di crescita nel medio termine e ad un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze sociali. In altre parole ci si trova di fronte ad un circolo vizioso dentro il quale l’economia di un paese rischia di scivolare sempre più in basso.

Come è logico aspettarsi, e come il lavoro di Tahsin Saadi Sedik e Rui Xu conferma, i paesi che già affrontano situazioni endemiche di disuguaglianza economica presentano i rischi maggiori. Utilizzando l’indice di Gini come riferimento per indicare l’incidenza della povertà (e quindi della disuguaglianza economica in un paese), i ricercatori dell’FMI sottolineano che più questo è alto e più aumentano le probabilità di proteste nel periodo post pandemico. In particolare la probabilità aumenta considerevolmente con un indice pari o superiore a 0.4

Due i particolari che dovrebbero far drizzare le antenne. Nel mondo il 45% dei paesi presenta un indice di Gini superiore a questa soglia (1/3 delle economie asiatiche); Le pandemie analizzate dallo studio dell’FMI non sono lontanamente comparabili, per diffusione ed effetti, a quella che stiamo vivendo oggi.

Risulta evidente che tenere sotto controllo le disuguaglianze, evitando che la pandemia le renda ancora più marcate e lavorando per ridurle, diventa fondamentale per rendere sostenibile la crescita economica che si accenderà dall’attuazione dei piani di recovery.

Foto di Михаил Мамонтов

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