Continua il dibattito sui benefici e sulle controindicazioni dell’home working. Aumenta o riduce la produttività di un lavoratore?
Al recente “Engaging Business” summit, Andy Haldane – capo economista della Bank of England – ha tenuto un interessantissimo discorso sull’argomento. Speech trascritto nel blog della BOE con il significativo titolo “Is home working good for you?“.
Valutare il lavoro da casa in termini di produttività non è cosa semplice. Da un lato esiste una scarsa base di dati, e nove mesi di pandemia non sono certo un tempo sufficiente per saltare alle conclusioni. Dall’altro lato si deve fare i conti con le tante differenze presenti all’interno del mondo del lavoro; differenze anagrafiche, settoriali ma, purtroppo, anche di censo, di genere e di razza. Tutto questo porta ad una grande cautela di fronte a qualsiasi valutazione sull’home working per evitare di generalizzare e semplificare.
Ma al centro del discorso di Haldane c’è un concetto sul quale occorre soffermarsi. Cosa intendiamo per produttività del lavoro? O meglio, come dobbiamo modificare il concetto di produttività di lavoro alla luce delle nuove modalità di home working?
La produttività non è soltanto un calcolo sulla capacità di produrre un determinato livello di “output” in un determinato orizzonte temporale. Anzi, stando a molte ricerche – suggerisce Haldane – un’eventuale perdita di produttività oraria dovuta all’home working verrebbe ampiamente compensata da un aumento delle ore lavorate.
No, la produttività ha anche a che fare con il benessere e con un concetto ampio di capitale umano. Ed è su queste due variabili che il lavoro da casa dovrà essere calibrato per diventare, come da più parti si continua a dire, la modalità ordinaria di svolgimento di alcuni lavori nel prossimo futuro.
Per quel che riguarda il primo aspetto, sia intuitivamente, sia dai dati raccolti dalle prime ricerche, emerge un miglioramento del benessere personale derivante dal lavorare nella propria abitazione. Una sensazione di maggior controllo sul lavoro da svolgere, l’evitare un fattore di stress formidabile come il dover effettuare il tragitto casa-lavoro, l’apprendere nuove conoscenze. Questi sono tutti fattori che, su una buona fetta di lavoratori, generano una sensazione di miglioramento del loro benessere psicofisico; condizione che migliora la produttività lavorativa.
L’altro punto che ci pare molto interessante del discorso di Haldane riguarda il rapporto tra home working e capitale umano. Intendendo con questa locuzione la capacità di essere creativi e lo sviluppo di relazioni interpersonali. Al pari del capitale “materiale” e della tecnologia, il capitale umano è uno dei fattori che determina lo sviluppo nel lungo termine dell’economia. La domanda è: il lavoro da casa fa fruttare questo capitale o tende a distruggerlo? Se sotto il punto di vista della creatività l’effetto è incerto, più semplice sembra la risposta riguardo allo sviluppo dei rapporti interpersonali. Secondo Haldane il confronto, anche e forse soprattutto al di fuori degli appuntamenti ufficiali, è fonte inesauribile di informazioni ed idee; senza contarne, pensando ai giovani che entrano nel mondo del lavoro, l’aspetto formativo.
L’home working, accelerato dalla pandemia, diventerà un pezzo importante dell’organizzazione del lavoro nei prossimi decenni. Il suo successo ed il suo contributo nel generare nuova energia per la crescita dipenderanno però dalla capacità di renderlo sostenibile. E la sua sostenibilità è strettamente legata alla necessità di preservare un’essenziale attività in presenza.
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