Abbiamo recentemente parlato di strategie di investimento capaci di andare oltre la diversificazione per intercettare nuovi elementi di protezione dal rischio. Il trend following, qui il post, ci consente di ridurre l’esposizione ai picchi negativi di un determinato mercato o indice. L’asset allocation dinamica basata sui fattori di rischio cerca un’altra strada, introducendoci in una modalità di investimento che mira a sovraperformare il mercato, a darci cioè un extra rendimento rispetto al mercato nel quale impegniamo i nostri risparmi.
Tutto si basa sui fattori di rischio. Si tratta sostanzialmente di caratteristiche che rivestono un ruolo importante nel determinarne il profilo di rischio e rendimento di un determinato gruppo di attività finanziarie. La ricerca nel campo dei fattori di rischio ha ormai una storia ultra decennale. I primi rilievi alla teoria del CAPM (che limitava gli elementi capaci di influire sul rendimento semplicemente nel rischio di mercato e nel rischio idiosincratico) sono opera di Stephen Ross nel lontano 1976. Nel suo “The arbitrage theory of capital asset pricing” pubblicato sul Journal of Economic Theory, Ross individuava in alcuni fattori macroeconomici gli elementi in grado si spiegare il rendimento di una attività finanziaria. Da quel momento gli studi si sono focalizzati sull’individuazione di questi fattori, ricercandoli nella macroeconomia, nella statistica o nell’analisi fondamentale.
Il più famoso modello basato sui fattori di rischio è datato 1992 e porta le prestigiose firme di Eugene Fama e Kenneth French. Il modello French-Fama ci dice che il rendimento del mercato azionario è spiegato da tre fattori fondamentali: il mercato (il rischio di mercato), la dimensione della capitalizzazione e il valore (inteso come rapporto tra valore desunto dai fondamentali e prezzo di mercato di una attività finanziaria). Successivamente Carhart ( nel 1997) ha aggiunto a questo modello un quarto fattore: il momentum.
Ad oggi possiamo individuare 6 grandi fattori di rischio:
Value | Utilizzato per individuare le attività finanziarie caratterizzate da un prezzo basso rispetto al valore desunto dai fondamentali |
Size | Utilizzato per individuare attività finanziarie con una dimensione simile in termini di capitalizzazione di mercato. |
Momentum | Utilizzato per individuare attività finanziarie che hanno evidenziato buone performance nel recente passato e che possono continuare in questo trend. |
Low Volatility | Utilizzato per individuare attività finanziarie caratterizzate da una volatilità più bassa rispetto al mercato |
Dividend Yeld | Utilizzato per individuare attività finanziarie caratterizzate da una generosa e persistente politica di dividendi. |
Quality | Utilizzato per individuare attività finanziarie caratterizzate da particolari aspetti fondamentali quali un basso debito, una crescita dei profitti stabile nel tempo, un alto ROE, etc. |
Gli studi effettuati sui fattori di rischio sopra descritti hanno dimostrato che la selezione delle attività finanziarie rispetto a queste caratteristiche comporta un extra rendimento rispetto al mercato. Il modello French-Fama basato sulla selezione di azioni small cap (a bassa capitalizzazione), analizzato nel periodo 1962-1990, ha riportato un extra rendimento mensile dello 0,57% rispetto all’investimento in large cap.
Il passo successivo della ricerca è stato quello di analizzare l’andamento dei singoli fattori di rischio rispetto alle fasi del ciclo economico e cercare di individuare, per ogni fase, quelli che riescono a segnare le performance migliori. In questo senso è illuminante una ricerca pubblicata nel 2015 da Amundi e che potete trovare a questo link.
I ricercatori di Amundi, dopo aver valutato le performance dei singoli fattori durante le varie fasi del ciclo economico, hanno testato un modello di asset allocation dinamica che prende in considerazione un investimento azionario basato su 7 fattori di rischio: low volatility, momentum, quality, value, growth, size (Mid Cap) e dividend yield. Ai 6 fattori già descritti, Amundi aggiunge il fattore growth, che raggruppa società con ottime prospettive di crescita futura.
Lasciandovi alla lettura del paper per tutti i dettagli, ci concentriamo sui risultati della ricerca, che possono ben rappresentare un approccio all’investimento che supera la semplice diversificazione e completa, affiancandola, la strategia di trend following vista in precedenza.
I dati basati sul periodo 1994-2014 dimostrano che utilizzare l’investimento fattoriale in funzione delle fasi del ciclo economico migliora il rendimento complessivo del portafoglio, mantenendo una volatilità simile a quella di mercato.
Lo schema qui sotto mostra le regole di utilizzo dei fattori nelle singole fasi del ciclo economico. I pesi sono stati assegnati in base alla capacità da parte del fattore di sovraperformare la media di tutti i fattori di rischio utilizzati.
Fase -> | Recupero | Espansione | Decelerazione | Recessione |
Low Volatility | Sottopesata | Sottopesata | Sovrappesata | Sovrappesata |
Momentum | Non presente | Sovrappesata | Non presente | Sottopesata |
Quality | Sottopesata | Sovrappesata | Non presente | Sovrappesata |
Value | Sovrappesata | Neutrale | Non presente | Non presente |
Size (Mid Cap) | Sovrappesata | Neutrale | Non presente | Non presente |
Growth | Non presente | Non presente | Neutrale | Non presente |
Dividend Yield | Non presente | Non presente | Sovrappesata | Non presente |
Nello studio di Amundi si introduce una descrizione del ciclo economico in 4 fasi basato sull’osservazione di alcuni parametri, tra i quali: i sussidi di disoccupazione, lo spread tra i titoli di stato e le obbigazioni a rating BBB, l’andamento del PIL. L’idendificazione di queste fasi risulta cruciale per applicare correttamente il modello multi fattoriale. Di questo parleremo nel prossimo post.