Nell’attendismo di alcune banche centrali potrebbe esserci una valutazione troppo restrittiva sul reale andamento della base monetaria.
Nei giorni scorsi la banca centrale inglese ha deciso di lasciare invariati i tassi di interesse adottando una strategia di prudente attesa molto simile a quella della FED. Una mossa che ha lasciato perplesso più di qualche analista, soprattutto alla luce dei dati macroeconomici che hanno preceduto la riunione della BoE.
Anche non volendo considerare l’inflazione, tornata al 2% ed in calo costante da nove mesi, le indicazioni che arrivano dal mercato del lavoro e dalle aspettative degli operatori economici disegnano uno scenario oramai pronto ad un allentamento della politica monetaria restrittiva. Lo descrive molto bene Julian Jessop dell’Institute of Economi Affairs (IEA) in un articolo di qualche giorno fa. Se, afferma Jessop, si può capire la volontà della BoE di concentrarsi ancora sull’inflazione visto il ritorno alla crescita dell’economia inglese, è però altrettanto vero che le spinte su prezzi e salari sono nettamente in calo, e che gran parte della fiducia riconquistata dagli operatori economici dipende dall’aspettativa di un calo dei tassi di interesse. In altre parole, conclude Jessop, più la BoE attente più rischia di boicottare la ripresa economica in cambio di un controllo troppo stretto e non necessario sui prezzi.
Ma questi atteggiamenti attendisti da parte degli istituti centrali sono dettati dalla prudenza o sono, invece, la conseguenza di un errore di valutazione? La seconda ipotesi è sostenuta in particolare da chi ritiene che le banche centrali abbiano avuto un ruolo importante nell’impennata inflazionistica post covid. Questa è la teoria sostenuta, ad esempio, dal direttore dell’Institute of International Monetary Research, Tim Congdon, nel suo recentissimo libro The Quantity Theory of Money: A New Restatement.
Ragionando in termini monetaristici e partendo quindi dal presupposto che l’inflazione sia un fenomeno esclusivamente monetario, individuare la quantità di moneta necessaria a rendere il sistema in equilibrio diventa fondamentale. Secondo Congdom la maggior parte degli economisti e dei banchieri centrali non sono riusciti a prevedere l’impennata dell’inflazione negli ultimi anni perché hanno trascurato ciò che stava accadendo all’offerta di moneta, o più precisamente hanno monitorato una definizione di offerta di moneta troppo restrittiva.
Congdon sostiene che la moneta in senso ampio (aggiungendo a liquidità e conti correnti i depositi a risparmio, i depositi vincolati e i fondi del mercato monetario) è la misura più rilevante per comprendere la relazione moneta-inflazione poiché cattura meglio la quantità totale di denaro disponibile per la spesa e gli investimenti. Gli economisti che hanno basato le loro analisi post 2020 su questa definizione di base monetaria ampia hanno previsto l’ondata inflazionistica, mentre le banche centrali e gli analisti fedeli alla base monetaria individuata da Irving Fisher e Milton Friedman vedevano all’orizzonte anni di deflazione.
In conclusione, il rischio per alcune banche centrali è di focalizzarsi troppo sui prezzi e tralasciare il reale andamento dell’offerta di moneta, rallentando così la crescita economica dei propri paesi.
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