L’ultimo sondaggio della FED di New York ci dice che i malfunzionamenti della supply chain continuano a influenzare la dinamica dei prezzi. I miglioramenti costanti dal 2021 ad oggi sembrano aver subito una frenata negli ultimi mesi, specie per la manifattura.
Volenti o nolenti, al centro della discussione rimane ancora l’inflazione. Se all’indomani della crisi pandemica ci si interrogava sulla sua natura transitoria, ora la domanda che assale analisti e investitori è quale sia il grado di persistenza, di “stickiness” direbbero al di là dell’oceano, del rialzo dei prezzi al consumo.
Martedì scorso sono stati pubblicati i verbali dell’ultima riunione della banca centrale australiana e, notizia passata un po’ sotto traccia, tra gli argomenti trattati è tornato a far capolino l’ipotesi di un rialzo dei tassi per provare a fiaccare le resistenze dell’inflazione aussie. Nell’Eurozona l’andamento dei salari nel primo trimestre del 2024 non sembra del tutto rassicurante, con la paga oraria crescita di 5 punti percentuali in un anno, due punti abbondanti in più rispetto al periodo precedente.
E negli USA? Qui, a ricordarci come la situazione sul fronte dell’inflazione sia complicata ci ha pensato l’ultimo sondaggio della Federal Reserve di New York. Al campione di imprese intervistate è stato chiesto di descrivere lo stato di salute della loro supply chain e di come eventuali malfunzionamenti stiano incidendo su produzione, prezzi e occupazione.
Le risposte raccolte da Jaison Abel e Richard Dietz – curatori del sondaggio della FED – non sono del tutto rassicuranti. Anche se la situazione è sicuramente migliorata rispetto al 2021, molte imprese continuano a registrare intoppi all’interno delle loro supply chain. Questo le constringe ad intervenire sui livelli di produzione e sui prezzi di vendita per compensare. A farlo è oltre il 20% delle imprese operanti nel settore dei servizi e quasi il 40% di quelle attive nella manifattura.
Ma quello che preoccupa di più è che i miglioramenti costanti dal 2021 lungo la catena di approvvigionamento sembrano aver subito un brusco stop negli ultimi mesi. Il Global Supply Chain Pressure Index curato dalla FED, dopo essere sceso sotto quota zero ad ottobre scorso (segnale positivo), è risalito fino ai massimi di estate scorsa. Un altro dato interessante arriva dal nuovo indicatore sviluppato dai ricercatori della FED di New York, vale a dire il Supply Availability Index (SAI). In parole semplici indica la differenza tra imprese che hanno registrato un miglioramento nella propria catena di approvvigionamento e imprese che hanno invece registrato un peggioramento; una lettura superiore a zero è positiva e viceversa. Da aprile dell’anno scorso il SAI di manifattura e servizi è andato pericolosamente riavvicinandosi allo zero e se la situazione sembra ora tornare a migliorare per i servizi, la manifattura è scesa a maggio sotto quota zero.

In conclusione la ricerca della FED ci dice che le magagne sul fronte della supply chain non sono scomparse e le imprese USA sono ancora costrette ad alzare i prezzi finali per compensare i maggiori costi. Un movimento che non ha di certo la forza per invertire l’andamento dell’inflazione negli USA, ma è sicuramente un altro freno sul benedetto ultimo miglio da percorrere per tornare al target FED.
Foto di Thomas G.