L’intelligenza nel mercato del lavoro paga? Ni

Uno studio condotto in Svezia mostra come al di sotto di un certo livello di reddito la correlazione tra salario ed intelligenza, intesa come insieme delle capacità cognitive di un lavoratore, sia sostanzialmente nulla.

A rigor di logica si sarebbe portati a pensare che un lavoratore con un salario molto elevato abbia anche una responsabilità molto elevata, e che questa responsabilità gli sia stata affidata in quanto in possesso di determinati requisiti quali competenza, esperienza ed una capacità di affrontare e risolvere problemi che potremmo riassumere in una parola soltanto: intelligenza. In definitiva, quindi, si potrebbe concludere dicendo che l’intelligenza dovrebbe pagare nel mercato del lavoro. Ma è davvero così? Uno studio pubblicato un mese fa sulla rivista European Sociological Review sembra gettare qualche ombra sul nostro ragionamento.

Marc Keuschnigg, Arnout van de Rijt e Thijs Bol hanno preso in considerazione il caso svedese, mettendo a confronto i test cognitivi sostenuti alla visita di leva da un campione di quasi 60 mila svedesi a 18-19 anni, ed i loro redditi di lavoro nell’intervallo tra i 35 e i 45 anni. Del campione non fanno parte donne ed immigrati, non essendo presente per queste due categorie l’obbligo di leva nel primo decennio della serie storica dei dati raccolti dallo studio.

Keuschnigg ed i suoi colleghi hanno quindi analizzato i dati, alla ricerca di una correlazione tra le capacità cognitive del campione ed i loro progressi in termini di reddito. Una correlazione tra salario ed intelligenza sembra esistere, ma solo quando si parla di redditi annui superiori alle 600mila corone (poco più di 57 mila euro). Sotto questa soglia, all’aumentare del salario, non si riscontrano aumenti apprezzabili delle capacità cognitive del campione. Inoltre, prendendo l’1% dei percettori di redditi da lavoro più elevati e mettendoli a confronto con l’intervallo subito sottostante, si nota che le capacità cognitive dei primi sono peggiori rispetto a quelle dei secondi.

Stando ai risultati di questo studio, quindi, si potrebbe dire che l’intelligenza non sempre paga. O meglio, l’intelligenza da sola non basta a garantire l’ottenimento di un’alta remunerazione del lavoro svolto. Non è un’affermazione a tutti i costi negativa, perchè la capacità di relazione o la motivazione – tutti elementi che lo studio non prende in considerazione – sono elementi desiderabili in un curriculum. Ma, sostengono gli autori, anche da questo dato, per quanto parziale, si può intravedere il rischio di una serpeggiante disuguaglianza economica che cresce.

Illustrazione di nugroho dwi hartawan

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