Economie emergenti, transizione energetica e la curva di Kuznets

Nel loro processo di sviluppo le economie emergenti si concentrano di più sul come sostenere la crescita economica che non sulla transizione energetica, in una sorta di curva di Kuznets ambientale.

Il nome di Simon Kuznets, di cui abbiamo avuto modo di raccontare nel nostro blog, è strettamente legato ad un grafico; una curva che ci dice sostanzialmente come, durante il percorso di sviluppo di un’economia, la disuguaglianza di reddito tenda in una prima fase ad aumentare per poi invertire la rotta quando la maggior ricchezza, sottoposta a tassazione, innesca un fenomeno redistributivo.

Qualche anno fa due economisti, Grossman e Krueger, hanno applicato il concetto della curva di Kuznets alle tematiche dell’ambiente, sostenendo che a diverse fasi dello sviluppo economico corrispondono diversi approcci al tema della sostenibilità ambientale. La relazione tra sviluppo e sostenibilità tende a privilegiare la seconda solo dal momento in cui una nazione entra nella fascia delle cosiddette economie middle-income. Questo significa, in termini pratici, che le economie in via di sviluppo tendono a privilegiare il tema dello sviluppo ad ogni discorso relativo alla sostenibilità ambientale. E questo le pone, nei fatti, come uno dei principali fattori di criticità nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni dannose nell’atmosfera.

Matthew Kahn (UCLA) e Somik Lall (World Bank) hanno recentemente messo in fila tre considerazioni che confermano la delicatezza della posizione delle economie emergenti rispetto alla transizione energetica. I due economisti ci ricordano infatti che le emissioni di anidride carbonica per persona e il reddito medio pro-capite di una nazione sono strettamente correlati. In altri termini si può dire che al crescere del reddito pro-capite aumenta anche quello che potremmo chiamare il carbon footprint di ogni cittadino. E l’aumento del reddito, proseguono Kahn e Lall, è legato all’aumento dei consumi di beni durevoli ad alto consumo di energia (automobili, climatizzatori, computer, etc…). Un raddoppio del reddito pro-capite aumenta di quasi 10 punti percentuali la probabilità di acquisto di un’auto, spiegano i due autori del report.

L’ultima osservazione è strettamente legata alla precendete. Dai dati della World Bank si evidenzia come all’aumento della richiesta di energia, le nazioni in fase di sviluppo ricorrano in maniera massiccia alle fonti fossili per generarla. Un fenomeno che ha reso le linee elettriche di paesi come Cina, India tra le più inquinanti al mondo.

Gli autori suggeriscono che l’applicazione di una carbon tax globale può essere un deterrente all’utilizzo delle fonti fossili per produrre energia, ma al tempo stesso è ovvia la necessità di non limitare la legittima volontà di progredire di molte nazioni. Chi per oltre un secolo ha potuto indisturbato fruire del fossile per diventare una nazione ricca, non può certo pretendere che un’altra nazione, avviata solo ora sul cammino della crescita, blocchi il suo processo di sviluppo. Servirebbe quella che un tempo, non molto distante anche se lo sembra, si chiamava multilateralità. L’evoluzione geopolitica non sembra, però, aiutare in tal senso, ponendo nuovi e indesiderati ostacoli al raggiungimento della transizione energetica.

Foto di NoName_13

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