NPL, osservati speciali del dopo pandemia

Prima o poi la moratoria sui prestiti cesserà e, sempre prima o poi, i tassi di interesse torneranno a salire. Quali conseguenze per il sistema bancario se una fetta di questi prestiti si trasformasse in NPL (Non Performing Loans) nel dopo pandemia? I dati di uno studio commissionato dal Parlamento Europeo ci danno qualche indicazione.

“Questo è il momento di dare denaro e non di chiederlo.” E’ una delle frasi pronunciate dal premier Mario Draghi, qualche settimana fa, in una delle sue rare conferenze stampa. Ad analizzarla bene, in questa frase c’è tutto. C’è la consapevolezza che viviamo un periodo di crisi profonda, durante il quale serve sostenere l’economia e non darle il colpo di grazia; ma c’è anche la verità scomoda: dopo questo periodo ne arriverà uno nel quale gli aiuti verranno ritirati ed il flusso di denaro dovrà, in modalità ancora da definire, invertire il senso di marcia.

Una delle domande che gli economisti si pongono in questi giorni è proprio questa: cosa accadrà quando i governi e le banche centrali cominceranno a poco a poco a rimettere nella valigia gli strumenti di sostegno? Come abbiamo già avuto modo di dire negli scorsi giorni, tutto ruota attorno a due argomenti: tasse e debito. Sul primo punto ci torneremo presto, ma già si comincia a parlare di redistribuzione, di tassazione delle società… Sarà un dibattito che ci accompagnerà per i prossimi mesi. Oggi proviamo a tornare sul secondo punto, quello relativo al debito, ed in particolare sull’impatto che una progressiva riduzione degli strumenti espansivi della politica monetaria può avere sul sistema bancario.

Il rischio è abbastanza chiaro. La mole di credito rilasciata nei mesi scorsi ha soccorso sia aziende in salute, sia aziende dalla condizione finanziaria traballante, limitando all’osso il numero di default. Una riduzione degli aiuti ed un aumento dei tassi di interesse porterebbe ad una impennata di dissesti aziendali e per le banche si potrebbe palesare all’orizzonte una valanga di NPL, i non performing loans che abbiamo conosciuto come scoria della precedente crisi finanziaria.

Ma come sono messe le banche europee, ad esempio, di fronte a questa evenzienza? A darci qualche dato è un report preparato per la Commissione Europea da un gruppo di ricercatori (tra i quali l’italiana Loriana Pellizzon) e dal titolo significativo: “Preparing for a wave of non-performing loans: Empirical insights and important lessons

Lo studio ha preso in considerazione tutti i prestiti sottoposti a moratoria alla fine del secondo trimestre 2020. A partire da questa istantanea, i ricercatori hanno valutato diversi scenari e provato a stabilire le conseguenze sul sistema bancario dei vari paesi dell’Unione. La simulazione mostra una situazione piuttosto disomogena. Ipotizzando che una percentuale dallo 0 al 50% dei crediti sotto moratoria diventino NPL nel dopo pandemia, lo studio ha riscontrato che in alcuni paesi il valore dei crediti “marci” supera il capitale delle banche anche in scenari ottimistici (Grecia, Slovacchia e Cipro), mentre nello scenario più pessimistico alcuni paesi mostrano una solidità del sistema bancario invidiabile, con lo stock di NPL che arriva al massimo al 30%/40% del capitale (Francia, Olanda e Austria). Italia, Portogallo e Spagna si attestano in una posizione intermedia e non del tutto rassicurante.

Per evitare che un’ondata di NPL superiore alle aspettive travolga i sistemi bancari nazionali e scateni una nuova crisi finanziaria nel dopo pandemia, lo studio suggerisce il rafforzamento del mercato secondario, nel quale riuscire velocemente ad individuare ed a “smerciare” i crediti deteriorati, ed un consolidamento del capitale delle banche, per le quali piccolo, in questo contesto storico, non è senza alcun dubbio né bello, né consigliabile. Ma i governi devono anche prevedere una serie di strumenti in grado di affrontare il cosiddetto rischio sistemico, supportando le banche e salvaguardando il risparmio privato.

Foto di Precondo

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