Sarà un tacchino un po’ più grassottello quello che si troveranno gli statunitensi sulla tavola domani, giorno del ringraziamento. I dati macro USA giunti oggi confortano sulla tenuta della congiuntura a stelle e strisce. Questo ed altro nel K Briefing di metà settimana.
I dati. Il PIl del terzo trimestre è stato rivisto al rialzo rispetto alla prima stima, +2.1% da +1.9% (trimestre su trimestre). Il dato risente, in positivo, dell’aumento delle scorte. Per questo motivo gli analisti si mantengono cauti sulle prospettive dell’ultimo trimestre 2019.
Il PIL non è l’unica buona notizia odierna; aumentano gli ordini di beni durevoli (anche dedotto il corposo contributo del settore difesa). Il dato sorprende gli analisti che si attendevano, per la rilevazione di novembre, ancora un segno negativo. Sul fronte occupazione, il consueto aggiornamento settimanale sulle prime richieste di sussidi di disoccupazione segna un altro pallino verde per la giornata di dati macro USA: 213mila richieste contro le 228mila precedenti, 10mila in meno di quanto atteso. Il dato sulle richieste medie mensili (molto meno volatile) flette da 221mila e spiccioli a poco meno di 220mila. Il mercato del lavoro tiene, quindi. Basti pensare che il numero di sussidi continuativi è sceso a 1,64 milioni, praticamente i livelli di inizio anni ’70 dello scorso secolo.
Nota stonata dal Chicago PMI. Lo stato di salute del settore manifatturiero dell’area di Chicago migliora in novembre ma più lentamente del previsto. Siamo ancora sotto quota 50, lo spartiacque tra contrazione ed espansione.
USA, scendono le vendite non concluse di immobili a ottobre. -1.7% contro attese di +0.2%. Il dato sembra essere causato da due fattori, spiegano al National Association of Realtors. Da un lato un leggero rialzo dei tassi dei mutui ad ottobre e dall’altro la scarsità di case in vendita che riduce anche il numero di contratti stipulabili. Unito al dato sui prezzi, in rialzo a ritmo lento, il dato odierno (considerato un anticipatore) sembra far presagire un periodo di crescita stentata per il settore immobiliare americano nei prossimi mesi.
Telenovela USA Cina. Per Trump l’accordo è ad un passo e la lentezza è dovuta solo alla volontà di controllare che sia vantaggioso per gli USA. Anche la Cina conferma che i passi avanti sono consistenti. Voci di corridoio dicono che l’oggetto del contendere sia il calendario del roll back delle tariffe. La Cina vorrebbe tutto subito, gli USA (Trump in particolare) non sarebbe molto convinto.
Petrolio. Aumentano le scorte di petrolio statunitensi e lo fanno contro ogni aspettativa. Questo non è un bel segnale per i prezzi del greggio, a pochi giorni dalla riunione OPEC che dovrebbe prolungare il taglio della produzione fino a metà 2020.
Cina. I dati arrivati nelle ultime ore ci dicono che per la Cina la situazione è ancora complicata. I profitti industriali sono crollati ad ottobre del 9,9% su base annua. Terzo ribasso consecutivo. Inoltre gli indicatori anticipatori non lasciano sperare nulla di buono nemmeno per novembre.
Francia, anche i consumatori sono fiduciosi. Da qualche giorno vi scriviamo che i cugini d’oltralpe sembrano ad oggi una delle economie più resilienti dell’eurozona. Anche i consumatori francesi sembrano dello stesso avviso, la loro fiducia cresce a novembre, a 106 da 104, ben oltre le attese degli analisti.
Italia, male. Ancora dati non positivi per il nostro paese. Pur trattandosi di dati sulla fiducia, da prendere sempre con le pinze, il quadro di scoramento accomuna chi fa impresa e chi consuma. Fiducia di consumatori ed imprese scende a novembre rispetto al mese precedente contro attese di aumento.
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Banche centrali e agenzie di rating
La notizia sta circolando con insistenza e parla di una certa attenzione da parte di Moody’s nei confronti della tripla A australiana. Il titolo di “regina” del merito creditizio, che condivide attualmente con altri 10 paesi, potrebbe esserle tolto se, di fronte alle difficoltà della congiuntura, il governo austrialiano decidesse di abbandonare il cammino verso l’avanzo di bilancio.
Di fronte a questo rischio, che significherebbe un aggravio di oneri finanziari, potrebbe essere la banca centrale australiana a prendere in mano la situazione. Forse ancora due tagli e poi la strada “non convenzionale” del QE. Dati macro USA ok.
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