Ricavi e margini. I campi di battaglia della guerra commerciale USA

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina rimane il primo dei pensieri per gli investitori internazionali. Dal 6 luglio – data di inizio della prima ondata di dazi USA sui prodotti cinesi – ad oggi non si sono visti progressi dal punto di vista diplomatico. 

Trump continua a minacciare nuove ondate di dazi sui prodotti cinesi, arrivando ad ipotizzare di mettere sotto tassazione tutti i prodotti importati dalla Cina (beni per un valore attorno ai 500 miliardi di dollari). Come se non bastasse la Casa Bianca ha rincarato la dose anche nei confronti dell’Unione Europea definita dal presidente americano un “nemico” degli Stati Uniti. A tremare per questo secondo fronte della guerra commerciale è soprattutto la Germania ed il suo settore automobilistico.

Dietro alle spavalde dichiarazioni di Trump, che si gioca gran parte del suo futuro politico nelle elezioni di mid term a novembre prossimo, si muove una massiccia azione diplomatica tesa a trovare accordi commerciali che salvino capra e cavoli, dando all’amministrazione americana “benzina” per la propria campagna elettorale. La matassa non è però semplice da sbrogliare e gli investitori si chiedono legittimamente cosa può comportare questo ritorno al protezionismo.

Goldman Sachs ha diffuso un proprio rapporto nel quale spiega come l’impatto della guerra commerciale cavalcata da Trump finirà con il colpire le società americane su due fronti: i ricavi ed i margini. Sui ricavi si è già detto molto. Sul dato aggregato delle aziende che compongono lo S&P 500, gli acquisti esplicitamente provenienti dalla Cina contano solo per il 2%. Secondo la banca d’affari l’attuale situazione porterebbe ad una riduzione dello 0,2% del PIL nel 2018.

Sempre in riferimento alle società dello S&P500, il calo nei profitti stimato per il 2019 dovrebbe fermarsi ad 1 punto percentuale.

Come detto in precedenza la guerra commerciale non colpisce solo le vendite ma anche gli utili. Il P/E (utile per azione), attualmente valutato in crescita nel prossimo anno del 10%, potrebbe scivolare di almeno 3 punti percentuali nel caso in cui i dazi rimanessero ai livelli attuali. Se scattasse un inasprimento della tassazione sulle importazioni l’effetto sui margini potrebbe diventare molto più sensibile. La stima di Goldman Sachs parla di una riduzione del 15%; fine della crescita.

Di fronte a questi scenari le borse non sembra ad oggi credere ad un inasprimento, la correzione rispetto ai massimi rimane limitata.

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