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Investimento a ciclo di vita (life cycle): il modello tradizionale è ancora valido?

E se il modello tradizionale dell’investimento “a ciclo di vita” (life cycle) fosse superato? Una nuova ricerca ribalta una delle regole più radicate nella finanza personale: ridurre l’azionario con l’età potrebbe non essere sempre la scelta migliore.

Negli ultimi anni, una delle strategie più diffuse nella pianificazione finanziaria è stato quello dell’investimento “life cycle”, o ciclo di vita. Secondo questo approccio – applicato, ad esempio, nei fondi target-date – un investitore giovane dovrebbe detenere una quota elevata di azioni, mentre con l’avvicinarsi alla pensione la componente obbligazionaria dovrebbe aumentare, per proteggere il capitale e ridurre la volatilità. È una strategia intuitiva e riconosciuta anche a livello regolamentare, nata per coniugare crescita nel lungo periodo e stabilità in prossimità del ritiro dal lavoro.

Una nuova ricerca mette però in discussione questo schema consolidato. Lo studio Beyond the Status Quo: A Critical Assessment of Lifecycle Investment Advice (Anarkulova, Cederburg, O’Doherty, 2025) mostra infatti che la classica ripartizione “più obbligazioni con l’età” potrebbe non essere più la soluzione ottimale. Ed è interessante collegare questo cambio di paradigma a un concetto introdotto da Jason Trennert: il TINA market (There Is No Alternative).

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Per oltre un decennio i tassi prossimi allo zero hanno reso i bond molto meno attraenti rispetto alle azioni, spingendo tutti – giovani e meno giovani – verso l’azionario. Lo studio suggerisce che, anche in una prospettiva storica molto ampia, questa dinamica non è un’anomalia passeggera, ma un’indicazione strutturale.

Il metodo di ricerca è particolarmente innovativo. Gli autori non si sono limitati ai dati USA o a un singolo periodo storico, ma hanno utilizzato dati mensili reali dal 1890 al 2023 provenienti da 39 Paesi sviluppati, resi omogenei con una tecnica di block bootstrap che preserva la struttura temporale e le correlazioni tra asset. Anarkulova e i suoi colleghi hanno poi simulato l’intero ciclo di vita di una coppia con un risparmio pari al 10% del reddito, includendo rischi di mercato, reddito da lavoro, pensione pubblica e longevità.

I risultati sono sorprendenti: la strategia ottimale mantiene circa un terzo in azioni domestiche e due terzi in azioni internazionali a tutte le età, con quasi nessuna obbligazione. Anche al momento della pensione l’esposizione obbligazionaria rimane irrilevante; compare solo un piccolo peso tattico sulla liquidità nei primi anni, legato alla rigidità della regola del 4% di prelievo. Per ottenere lo stesso livello di benessere finanziario, un investitore che segue un tipico fondo target-date dovrebbe risparmiare il 63% in più. E non solo: la strategia azionaria globale massimizza la ricchezza, riduce la probabilità di esaurire i fondi in pensione (6,7% contro quasi 20% dei TDF) e permette lasciti medi più che doppi.

Quale lezione trarre? Non che la strategia life cycle sia da buttare, ma che la realtà finanziaria richiede più flessibilità concettuale. In un mondo dove i tassi non garantiscono protezione reale e i mercati sono globali, contare sulle obbligazioni come “ancora” potrebbe essere un’illusione. Il messaggio è chiaro: più che concentrarsi sulle asset class, dovremmo concentrarci sul rapporto rischio/rendimento e sulla protezione reale del potere d’acquisto nel tempo.

Foto di Kacio

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