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I costi del quantitative tightening

Quasi sotto traccia, negli ultimi mesi le banche centrali hanno portato a regime la riduzione dei titoli in portafoglio, residuo della grande fase di politica monetaria espansiva che ci ha accompagnato negli anni della pandemia. Ma il quantitative tightening, di questo stiamo parlando, se usato in maniera poco ortodossa, può causare costi non indifferenti all’economia. A spiegarcelo è uno studio pubblicato dell’Institute of Economic Affairs e realizzato da Sir John Redwood.

Lo studio di John Redwood analizza in maniera approfondita gli impatti e i costi associati al processo di quantitative tightening (QT), ossia la riduzione del bilancio delle banche centrali attraverso il ritiro graduale degli asset accumulati durante i periodi di allentamento monetario. Questo approccio rappresenta una sfida significativa per la stabilità finanziaria e la crescita economica, poiché le modalità e la tempistica di tale restrizione possono avere effetti sia diretti che indiretti sull’economia globale.

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L’analisi parte dalla premessa che il QT, pur essendo uno strumento necessario per normalizzare la politica monetaria dopo periodi di crisi, comporta una serie di costi che vanno ben oltre il semplice impatto sul bilancio delle istituzioni centrali. In particolare, il documento evidenzia come il ritiro sistematico degli asset possa influenzare i tassi di interesse, la liquidità dei mercati finanziari e la trasmissione della politica monetaria. Questi effetti si ripercuotono sia sui mercati obbligazionari che sul credito bancario, aumentando la volatilità e, in alcuni casi, il rischio di destabilizzazione finanziaria.

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio riguarda il legame diretto tra la velocità di implementazione del QT e l’efficacia della politica monetaria. Un approccio troppo aggressivo potrebbe innescare una serie di reazioni a catena, come un innalzamento dei tassi di interesse in maniera eccessiva e una contrazione della liquidità, con conseguenti impatti negativi sul credito alle imprese e sui consumi. Al contrario, una politica di QT calibrata e trasparente, supportata da una comunicazione chiara da parte delle banche centrali, può mitigare tali rischi e garantire una transizione più fluida verso una politica monetaria più restrittiva.

Redwood sottolinea inoltre l’importanza della coordinazione tra politica monetaria e altri strumenti di intervento economico. In contesti caratterizzati da elevata incertezza, come quelli attuali, è cruciale che le istituzioni monetarie e fiscali lavorino sinergicamente per evitare squilibri macroeconomici. La gestione del QT, se accompagnata da misure correttive mirate e da un’adeguata sorveglianza dei mercati, può contribuire a limitare gli effetti negativi sul sistema finanziario, riducendo al contempo il costo sociale e economico di una stretta creditizia incontrollata.

Un ulteriore punto di discussione riguarda l’effetto asimmetrico del QT tra diverse aree economiche e settori. In presenza di mercati già fragili o di economie emergenti con strutture finanziarie meno robuste, la riduzione della liquidità globale potrebbe esacerbare le disuguaglianze economiche e rallentare la ripresa post-crisi. Pertanto, lo studio raccomanda un approccio differenziato e contestualizzato, che tenga conto delle specificità locali e delle vulnerabilità strutturali di ciascun sistema economico.

Riassumendo, possiamo dire che la ricerca ci suggerisce che, sebbene il QT sia uno strumento indispensabile per il riequilibrio delle politiche monetarie dopo periodi di allentamento straordinario, la sua implementazione richiede una pianificazione accurata, una gestione attenta della comunicazione e un coordinamento interistituzionale per limitare gli impatti negativi sui mercati e sull’economia reale.

Foto di Qubes Pictures

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